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Il romanzo della nostra storia da Fiume alla Serenissima

La scrittrice udinese completa con “La fragilità del leone” il racconto del Nord-Est Il suo “memoriale” sulla caduta di Venezia sancita da Napoleone a Campoformido

2 minuti di lettura
Diversi volumi in prosa e alcune raccolte di poesie: questo il prezioso carnet di una scrittrice raffinata come l’udinese Antonella Sbuelz.

Una scrittrice come ha ricordato tempo fa su queste pagine Mario Blasoni, che «ha ripercorso, e rivissuto, la storia delle nostre genti - friulani, veneti, giuliani, istriani - nel corso del Novecento», in quelli che il critico Mario Turello ha definito, «non racconti o romanzi storici, ma memoriali, nel senso che il termine ha nella liturgia ebraica: ancor più che memoria, esperienza forte, responsabile, sacrale».

Dopo un esordio nel 1997 con una raccolta di racconti, “Amori Minimi”, Antonella Sbuelz ha, infatti, affrontato nei suoi quattro romanzi successivi pagine della nostra storia recente e meno recente, ma sempre con uno sguardo all’oggi.

Dal duro inverno del 1944-’45, quello tragico e terribile dell’occupazione tedesca, raccontato in “Il nome nudo”(2001) alle altrettanto tragiche vicende del secolo breve da Caporetto agli anni di piombo de “Il movimento del volo”(2007).

Per non parlare della Fiume di Gabriele D’Annunzio ricostruita in “Greta Vidal”(2009) come «la città che attraeva spiriti liberi e ribelli, intellettuali, poeti, artisti e riformisti che arrivano da ogni angolo d'Europa. Rappresentava il luogo dove in maniera democratica si discuteva di tutto, si poteva divorziare, le donne votavano e le carceri avevano subito una riforma».

Un pendant tutto al femminile dell’altro straordinario racconto sulla Fiume dannunziana, trasgressiva esagerata e godereccia, di Giovanni Comisso ne “Il porto dell’amore”.

Il romanzo più recente di Antonella Sbulz è dedicato invece agli ultimi giorni di Venezia prima della definitiva cancellazione a Campoformido della Serenissima per opera di Napoleone.

S’intitola “La fragilità del leone” ed è stato pubblicato recentemente nella collana (s)confini dell’editrice Forum di Udine.

Un romanzo, questo che, come ha scritto Paolo Medeossi ha rappresentato «un luminoso ritorno alla narrativa di Antonella Sbuelz, dopo una recente raccolta poetica (“La misura del Vicino e del Lontano”, Raffaelli 2106), e in cui l’atmosfera fra resa e rassegnazione è quella evocata nelle pagine nieviane delle “Confessioni” (…) un romanzo che va ad alimentare il filone letterario che lega il Friuli agli scenari di Venezia, perché gli autori vanno a cercarvi l’anima segreta delle cose guardando oltre la facciata consunta di palazzi e storie note. “La fragilità del leone” racconta fermenti di ieri e di sempre, come i sentieri insoliti disegnati dall’amore».

Udinese di nascita, ma gli Sbuelz vengono da Tricesimo, come precisava nel suo articolo Blasoni, Antonella, ha sempre amato i libri: «Ero una bambina con sempre un libro in mano - scrive nel suo profilo web - ed erano i libri i regali d’obbligo che ricevevo. Ho cominciato a scrivere versi e racconti brevi che ero ancora alle elementari». Completa il suo impegno letterario con l’attività di insegnante, italiano e storia all’istituto Malignani: “Le sue grandi passioni”, cosí ancora ha scritto di lei Mario Blasoni, sono le materie che insegnava, nello stesso istituto, una sua indimenticabile collega, la scrittrice e poetessa Novella Cantarutti, oltre che - ci si perdoni il bisticcio - la “materia prima” per i suoi lavori letterari. La storia e il bello scrivere, appunto.

Un’attività, l’insegnamento che, confessa, «nonostante tutto (ed è un tutto non da poco) mi piace ancora, e molto: il contatto con i ragazzi è un continuo rimettersi in gioco. Sfianca ma rilancia ogni giorno nuove sfide».

Come quella di scrivere di storia «ma della parte in ombra del passato, la polvere finita sotto i tappeti (…) le sofferenze, le resistenze, i destini soggettivi dei tanti Toni e Meni, delle Marie e delle Teresine destinati troppo spesso all’invisibilità, per - e cita Carlo Ginzburg- vedere in una goccia il mare».

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