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Trockij, Lenin e Vidali nei racconti di Orecchio

È evidente che la fantasia creativa degli scrittori può dare tonalità colorate alla drammaticità della storia. Chi non ricorda la peste narrata da Alessandro Manzoni nel contesto degli anni 1628...

2 minuti di lettura
È evidente che la fantasia creativa degli scrittori può dare tonalità colorate alla drammaticità della storia. Chi non ricorda la peste narrata da Alessandro Manzoni nel contesto degli anni 1628 -1630 e popolata da personaggi che hanno travalicato i secoli ? L’Innominato,il cardinal Borromeo, la monaca di Monza?Bello pensare che la storia alle nostre spalle avrebbe potuto essere popolata da uomini capaci di orientare le loro azioni in modo che il loro futuro e il nostro presente potesse affacciarsi su scenari di più gradevole interpretazione. Diventa assai interessante percorrere le pagine che lo scrittore Davide Orecchio nel suo libro di racconti “Mio padre la rivoluzione” (Minimumfax,18 euro), ha dedicato ai protagonisti della Rivoluzione Bolscevica di cui si celebrano i cento anni nel frastuono di una quotidianità che fatica a guardarsi alle spalle.

La rivoluzione d’ottobre creò il movimento comunista mondiale e sarà il XX congresso del Pcus nel quale Nikita Kruscev asfaltò il mito di “baffone “Stalin per dichiarare la morte di una tirannia, che aveva solo esaltato morte e miseria. A celebrare questo itinerario di dolore Orecchio chiama Leone Trockij a raccordare i due momenti topici del “secolo breve”.

Le riflessioni sugli avvenimenti sono prese, in parte, da testimonianze di Vittorio Vidali comunista stalinista triestino.

E il terrore di quegli anni emerge con spietata crudezza,tra fucilazioni e purghe che eliminarono il settanta per cento del comitato centrale fino a culminare con l’invasione di Budapest nell’autunno del 1956 quando il disperato indipendentismo ungherese cerca in una rivolta epica di allontanarsi dal tallone armato dei russi.

Trockij ,immaginato vivente,assiste a questa ultima catastrofe (nel ’68 sarà la volta di Praga)fiducioso «nella sua fede nell’avvenire».

Grande tragedia questa visione progressista dell’umanità.

Altro racconto da centellinare è quello che riguarda il Gianni Rodari noto autore di fiabe e comunista riformista che colora il testo di Lenin “breve corso di storia del partito comunista bolscevico dell’URSS” con variazioni interpolate con la vita e i sentimenti del prestigioso rivoluzionario: forte il tentativo di tenere lontano crudeltà e cinismi dallo spettacolo dei luoghi nei quali Lenin visse e allo stesso tempo spegnere le farneticazioni ideologiche che dal pensiero del padre della rivoluzione emergevano. «Compagni, impiccate non meno di cento Kulaki rinomati,ricchi ,sanguisughe». Nella finzione Rodari immagina che tutto possa essere favola,ma ahinoi favola non è, se ancora negli anni settanta Enrico Berlinguer poteva dire che «L’Unione Sovietica è un paese con alcuni tratti illiberali».

E la salma imbalsamata di Lenin non è vero, come sostiene Orecchio, che «non dice nulla». Anzi è assai eloquente testimone di un reliquario della venerazione dogmatica di un dittatore che nel porto di Kronstad sterminò centinaia di marinai che non credevano alla egemonia del partito unico. Il libro di Orecchio è un libro ricco e avido di cultura: in lungo lavoro ha raccolto pensieri su un personaggio del libro di Italo Calvino “Il sentiero dei nidi di ragno”e ha composto una sintetica antologia dei pensieri dei protagonisti di quegli anni da Lenin attraverso Rosa Luxemburg,donna di raro fascino politico a Palmiro Togliatti allora segretario della Terza Internazionale che collaborò «con i persecutori e i carnefici dei vostri compatrioti antifascisti» (pag.282).

Compare perfino un Bob Dylan compositore di una canzone che parla della fine dei sogni. “Padre” tremendo, la rivoluzione di questi inutili bagni di sangue, che la fantasia letteraria,senza moralismi vorrebbe sempre tenere lontani, quasi sempre invano.

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