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Un’ondata di morte dopo la Grande Guerra: la febbre spagnola

Si sprigionò improvvisa e travolse il mondo mietendo vittime Uccise circa 100 milioni di persone, 600 mila nel nostro Paese

di VALERIO MARCHI
2 minuti di lettura

«La guerra era finita, ma il peggio doveva ancora venire». E fu una delle più tremende ventate di morte della storia. Ci si illudeva di riprendere fiato dopo anni di carneficine, ma «un feroce colpo di coda del destino» fece evocare la fine del mondo: questa la premessa di Riccardo Chiaberge al suo “1918. La grande epidemia. Quindici storie della febbre spagnola” (Utet, 2016). La stessa scienza che aveva aperto le porte al massacro di massa della guerra, non riuscì a evitare un cataclisma biologico e demografico che riconfigurò la popolazione umana, dando forma al mondo moderno.

Terence Ranger ha rilevato che la pandemia influenzale del 1918-20 ha posto enormi problemi dapprima ai medici, in seguito agli storici. Un singolare oblio collettivo (che ha colpito mezzi di comunicazione, scrittori, cinema, manuali di storia…) ha relegato sullo sfondo per lungo tempo una malattia che contagiò almeno un terzo degli abitanti del pianeta e ne uccise, come attestano gli studi più recenti, fra i 50 e i 100 milioni (è arduo redigere una stima esatta, specialmente per paesi quali, a esempio, l’India o la Cina). In Italia provocò circa 600 mila vittime.

Per molto tempo se ne sono occupati più che altro epidemiologi, virologi e storici della medicina, ed è soprattutto a partire dalla fine del secolo scorso che la storiografia ha dato frutti notevoli. Agli storici si sono affiancati economisti, sociologi e psicologi, sinché, da ambiti specialistici, le loro conclusioni hanno cominciato a trovare una divulgazione più ampia.

Nel volume “1918. L’influenza spagnola. La pandemia che cambiò il mondo” (Marsilio, 2017), Laura Spinney scrive: «Il ricordo dell’influenza spagnola è personale, non collettivo. Non è quello di una tragedia storica, ma è fatto di milioni di silenziose tragedie private» (e le servizio qui accanto, a nome di tutte, ricordiamo quella che colpì una famiglia udinese). Se la guerra «ha avuto un centro geografico e un racconto che si è sviluppato nel tempo», la “spagnola”, invece, estesa nello spazio e circoscritta nel tempo, «travolse il mondo in un solo battito di ciglia»: il maggior numero di decessi, infatti, si concentrò negli ultimi mesi del 1918. Il 1° dicembre, per inciso, ne fu vittima la crocerossina Margherita Kaiser Parodi, unica donna sepolta nel Sacrario di Redipuglia.

A quella «strana forma di malattia a carattere epidemico, con esito benigno» – così la si indicava ottimisticamente nelle sue fasi iniziali, meno virulente – furono poi dati i nomi più vari, ma quello divenuto classico rimanda alla Spagna perché lì, per la prima volta, se ne diede comunicazione pubblica. La Spagna, infatti, neutrale rispetto al conflitto, non era soggetta alla censura dei paesi belligeranti: compresi gli Stati Uniti, dove pare che sia insorta l’influenza, con il primo caso conclamato all’inizio di marzo di un secolo fa. Il contagio si propagò fra i militari addensati nei centri di raccolta e smistamento per l’Europa: un prezzo altissimo pagato dal mondo per l’intervento americano.

Il virus, che falcidiava soprattutto giovani adulti e forti, divenne estremamente aggressivo. Colpiva vie aeree e cellule muscolari (comprese quelle cardiache) e mutava continuamente struttura. Se ne sapeva ben poco, e le cure erano più che altro palliative. Nessuno conosce la causa della sua comparsa e nessuno sa perché scomparve. Fece intendere tuttavia che nessuno poteva più ritenersi un’isola e che bisognava dare impulso ai sistemi sanitari, sui punti deboli dei quali sorgono oggi inevitabili interrogativi, ipotizzando nuove pandemie e valutando i mezzi per farvi fronte. Come ha spiegato Gina Kolata (“Epidemia”, edito in Italia da Mondadori nel 2000), noi «comprendiamo meglio il male passato e siamo più preparati a sopravvivere a quello futuro», ma l’unica speranza risiede in «un controllo attento che ci permetta di individuare per tempo il nemico, quando compare all’orizzonte».

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