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Giacomo Vidoni l’antesignano: fu il primo a liberare i ricoverati

Udinese, fondò il manicomio di San Daniele nel 1874 e fu un pioniere nella sanità Suo figlio Giuseppe, luminare a Genova, sperimentò poi il trattamento “open door”

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Nato a Udine nel 1842, Giacomo Vidoni fu un liberale di antico stampo e un intellettuale raffinato. Laureatosi in medicina a Padova nel 1865, partecipò come sottotenente medico alla Terza guerra d’indipendenza nel 1866.

Nel 1873, dopo le esperienze maturate a Udine, Porcia e Fagagna, si trasferì a San Daniele del Friuli, dove divenne in breve presidente della Commissione sanitaria.

Lavorò con spirito creativo e pionieristico per lo storico Ospedale civile (“Ospedale di Sant’Antonio Abate” dal 1882) nel cui ambito, sotto la sua direzione – e soprattutto negli anni in cui collaborò con lo stimato medico ebreo Ettore Sachs – emersero, tra Otto e Novecento, i reparti medico e chirurgico: chiari esempi degli ottimi risultati che, a dispetto della penuria di mezzi, si possono raggiungere grazie alla professionalità e all’empatia con i pazienti.

Ma Vidoni fu, in primo luogo, il fondatore del locale Manicomio che, apertosi nel 1874 quale sezione staccata di Udine, fu un reparto psichiatrico all’avanguardia nel trattamento libero e coloniale dei malati mentali. E così precorse, in qualche misura, la rivoluzione basagliana.

Fra alti e bassi, ma con incoraggianti successi, il medico udinese – che catturò anche l’attenzione di Cesare Lombroso – sperimentò la concessione della libertà ai ricoverati, i quali, sotto una custodia di tipo familiare, potevano svolgere attività di lavoro e di svago sia interne sia esterne, interagendo con la popolazione. Dimostrò così che i sofferenti di disturbi psichici non sono né fatalmente antisociali né inevitabilmente condannati all’inerzia. Superando gli ostacoli derivati dai pazienti più gravi e da questioni gestionali (all’inizio i degenti erano 14, nel 1907 oltre 300 in più, e il numero aumentò negli anni seguenti), l’istituto si ampliò con l’apporto della manodopera dei malati stessi.

Furono aggiunti il fienile, la stalla, la lavanderia, il reparto per i pazienti benestanti e per quelli d’oltre confine, organizzando al meglio la cucina e il macello interno.

Il medico friulano istituì inoltre mense, presidi sanitari, bagni curativi, coinvolgendo enti, istituzioni e famiglie, e offrendo cure specialmente ai più disagiati e ai pellagrosi (la cui patologia è in genere l’anticamera di quella mentale). Distintosi anche in cariche civili, quali le presidenze del Monte di pietà, della Congregazione di carità e della Banca cooperativa, fu insignito della Croce di cavaliere della Corona d’Italia nel 1902. In quello stesso anno ricevette un solenne riconoscimento dalla cittadinanza; un altro, nel 1899, gli era stato conferito per i 25 anni di servizio.

A San Daniele, dove morì nel 1912, gli è intitolata una via. Nell’atrio primitivo dell’Ospedale fu collocata una lapide in bassorilievo con la scritta: «A Giacomo Vidoni che questo istituto resse, vivificò del suo illuminato fervore, con riordinamenti e con la cura libera, scuotendo dagli inerti torpori i ricoverati, ora sotto il cielo operosi».

I funerali furono imponenti.

Negli anni Venti Giuseppe Vidoni, figlio di Giacomo, si trasferì con la famiglia in Liguria, dove intraprese una lunga e prestigiosa carriera universitaria.

Autore di numerosi e notevoli scritti anche in tema di riforma nell’assistenza agli affetti da disturbi mentali, Giuseppe fu direttore provinciale di Igiene sociale e condusse l’Ospedale psichiatrico provinciale a Genova, dove mise in atto un trattamento “open door” e “no-restraint”, utilizzando fra l’altro personale esclusivamente femminile.

Attualmente l’archivio storico comunale di San Daniele, che ha sede nel Museo del Territorio, custodisce il Fondo Vidoni, formato da cartoline postali e fotografiche, positivi e documenti epistolari.

Esso fu voluto dal figlio di Giuseppe Vidoni, ossia Giacomo (che portava dunque lo stesso nome del nonno), vissuto fra San Daniele e Genova e dotato, fra l’altro, di spiccate propensioni artistiche.

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