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«La democrazia non è scontata»

Lo storico Fantin e le memorie di chi fece “La cosa giusta”

2 minuti di lettura

Un giovane storico, Alessandro Fantin, presidente della sezione Anpi di Ceggia-Torre di Mosto (Venezia), ha scritto due libri notevoli, editi dal Centro Leopoldo Gasparini di Gradisca d’Isonzo, che contengono le memorie anche di diversi friulani: “Padre eterno se ci sei mi devi chiedere perdono. Testimonianze di donne e uomini deportati nei lager nazisti”, del 2011, e “La cosa giusta. Testimonianze partigiane di donne e uomini resistenti”, con prefazione di Marco Puppini.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) La Resistenza friulana fu davvero “speciale”]]

Sono testi ricchi di memorie raccolte dalla viva voce di chi ha fatto la «scelta giusta».

«È la voce di protagonisti che, in quella stagione straordinaria e terribile, hanno scelto consapevolmente di combattere una guerra perché “era giusto farlo”. Hanno sofferto anche fino alla tortura e alla deportazione nei lager nazisti, sono sopravvissuti e hanno trovato la forza di raccontare».

Lo hanno fatto in età avanzata, però.

«Prima erano di fatto inibiti dall’opinione pubblica. Solo dalla fine degli anni Novanta le cose hanno cominciato a cambiare, e si è capito che le voci dei testimoni della Resistenza e della Liberazione sono fondamentali a livello sia storico sia umano: difatti, hanno modificato il mio modo di vedere il mondo e la storia».

Quali sono i limiti e i pregi di questo tipo di testimonianze?

«La storia orale evolve nel tempo. La nostra memoria è una materia viva e non immobile come, a esempio, una data. Sono dunque fonti di eccezionale valore, ma lo storico deve trasformare le memorie in storia, utilizzando gli strumenti del mestiere: atlanti, cartografie, cronologie, uffici anagrafici, archivi, e così via».



Qual è il primo insegnamento che ci lasciano?

«Non dare mai per scontata la libertà. Ogni cosa si conquista con sudore, e mi riferisco sia alla Resistenza sia ai moti del ’68: ovvero, come diceva Pasolini, le uniche due cose veramente rivoluzionarie in Italia dall’unificazione in poi. Attenzione, però: i tentativi di imbavagliare la verità rimangono e ci troviamo spesso di fronte a forme di fascismo camuffato».

Può farci un esempio?

«A Grosseto è stata approvata una mozione per intitolare tre luoghi cittadini a Berlinguer, ad Almirante e alla Pacificazione nazionale. Ma è deleterio riesumare in questo modo figure come quella di Almirante, cercando di “rieducare” la memoria e, di fatto, di cambiare la storia».

Persiste un problema di fondo, dunque?

«Rimangono sacche di “nostalgia”, peraltro inserite in un quadro strutturale: già nel ’46, con l’amnistia Togliatti, fu dato un segnale allarmante. E mentre in Germania c’è stata una denazificazione, in Italia non si è mai defascistizzato lo Stato».

Alcuni, però, osservano che buoni e cattivi ci sono stati da tutte le parti.

«Innanzitutto, l’essere umano non è mai in assoluto “buono” o “cattivo”. È ovvio, poi, che non troveremo mai tutti gli onesti e i “buoni” da una parte e tutti quelli “cattivi” e in malafede dall’altra. Ma non è questo il punto. Se, da un lato, la storia deve rendere la complessità delle situazioni reali e le responsabilità di tutti, dall’altro non dobbiamo mai confondere vittime e carnefici, parte giusta e parte sbagliata».

La libertà, insomma, va mantenuta.

«Certo! È una lotta senza armi che riguarda sia gli storici sia le istituzioni comunali, provinciali, regionali e nazionali. Ma anche ogni cittadino nel proprio impegno civile, prima che politico».

E la scuola?

«La scuola e i manuali di storia hanno tanti meriti, ma dovrebbero andare più a fondo e dovrebbero raccontare anche l’ingratitudine della Repubblica verso chi l’ha costruita. Attenzione, però: pure con gli adulti c’è tanto lavoro da fare!».

Il 25 aprile, dunque, oltre a celebrare chi ha sofferto per liberarsi dal fascismo e dall’invasore nazista, può essere anche un punto di partenza?

«Sì, perché il fatto che le cose non siano andate come sperava chi ha lottato è un problema che ci riguarda tutti.

La domanda è: cos’è andato storto dopo il 25 aprile? È su questo che dobbiamo riflettere e dialogare, per il nostro futuro e per rispetto di chi ci ha consegnato la libertà».

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