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Lussu e il romanzo della passione morale nella Grande Guerra

Ottant’anni fa usciva il libro dell’ufficiale della Brigata Sassari «È il racconto piú bello del primo conflitto» scrisse Rigoni Stern

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«Tra i libri sulla Prima guerra mondiale Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu è, per me, il più bello»: esordiva così, Mario Rigoni Stern, introducendo nel 2000 una nuova edizione del capolavoro di Emilio Lussu, la cui prima edizione, a Parigi, risale a ottant’anni fa.

Abbiamo dunque anche un’occasione per ricordare Rigoni Stern, scomparso dieci anni fa (16 giugno 2008) ad Asiago, nell’altopiano dei Sette Comuni, dov’era nato nel 1921. È stato autore sia del celebre racconto autobiografico sulla ritirata di Russia “Il sergente nella neve” (Einaudi, 1953) sia di altre apprezzate opere (“Il bosco degli urogalli”, “Ritorno sul Don”, “Storia di Tönle”, “Sentie-ri sotto la neve”…): secondo Primo Levi, che amava la sua lingua chiara, priva di retorica, capace di raccontare la sofferenza e l’orrore di frangenti che spinsero gli uomini al limite delle loro possibilità (e oltre), è stato «uno dei più grandi scrittori italiani».

Rigoni Stern disse: «Nella mia vita ho incontrato qualche grande capitano: sono uomini molto rari, di grande ascendente», ma «tra i veri Capitani Emilio Lussu è stato il più grande». E capì bene che “Un anno sull’Altipiano” non era né «un diario» né «un saggio storico» né «una prova lettera-ria»: i fatti, descritti «come li raccontasse ai suoi parenti», formano pagine nate «da uno stato d’animo particolare». Scrivere quel libro era diventata per Lussu «una necessità» durante una lunga convalescenza in Svizzera, fra le montagne dei Grigioni che gli ricordavano l’Altipiano, lontano dal-la sua Sardegna e dai suoi compagni antifascisti fuoriusciti in Francia.

Lussu, presentando il suo libro, precisò: «Sono ricordi personali, riordinati alla meglio e limitati ad un anno, fra i quattro di guerra ai quali ho preso parte. Io non ho raccontato che quello che ho vi-sto e mi ha maggiormente colpito. Non alla fantasia ho fatto appello, ma alla mia memoria», per of-frire «una testimonianza italiana della grande guerra» e una rievocazione di come il conflitto è stato realmente vissuto, «con le idee e i sentimenti di allora». Di certo, non avrebbe mai immaginato di creare una pietra miliare letteraria del Novecento: non una cronaca, ma un racconto rapido, preciso, carico di passione morale, che varia sapientemente i toni e sa utilizzare poche battute per tratteggiare situazioni e personaggi, alcuni dei quali memorabili.

Ma dal testo di Lussu è anche possibile estrarre poesia, come chi vi scrive ha fatto in una silloge edita per i tipi della Kappa Vu nel 2015 (“Quell’anno sull’Altipiano. Trenta liriche in omaggio a Emilio Lussu”): un’operazione che ha avuto anche sviluppi scenici con recitazione e musiche affidate a validi artisti del Friuli (Alessandra Pergolese, Stefano Rizzardi, Alessandro Turchet, Nevio Zani-notto). In questa pagina ne presento alcuni versi.

Il contesto dell’opera di Lussu è quello della grande offensiva austroungarica detta “Spedizione punitiva”, iniziata a metà maggio 1916. Per farvi fronte, la Brigata Sassari venne spostata dal Carso all’Altipiano: da lì, ebbe inizio la tragica epopea che l’autore narra facendo precipitare il lettore den-tro trincee inespugnabili, assalti disperati, battaglie insensate decise da comandanti vanitosi, impre-parati, arroganti e spietati, fra episodi atroci e talora grotteschi, che svelano la realtà di una guerra fatta di «ozio e sangue», «fango e cognac». Lussu sferra una dura requisitoria contro la guerra con uno stile asciutto, a tratti ironico, delineando in modo robusto, affilato e genuino i drammi e il senti-re dei soldati, nonché gli errori dei comandi che avrebbero portato alla disfatta di Caporetto. Le sue memorie si fermano prima dell’offensiva della Bainsizza, introdotta nell’ultima pagina di un testo che rimane, se non «il più bello» in assoluto, uno dei più belli e importanti.

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