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L’insostituibile Cadorna l’emblema del potere in Italia

Nel suo libro, Marco Mondini racconta uno degli uomini più potenti della storia «Era un perfetto rappresentante della sua casta: i professionisti della guerra»

2 minuti di lettura

Terminiamo con “Il Capo. La Grande Guerra del generale Luigi Cadorna” (il Mulino, 2017), di Marco Mondini, le interviste agli autori delle tre opere finaliste della 5ª edizione del Premio nazionale Friuli Storia. Il vincitore verrà annunciato a inizio settembre. Il 5 ottobre la premiazione a Udine.

valerio marchi

Possiamo definire il suo libro una biografia?

«Direi una semi-biografia. Cadorna fu egocentrico e dispotico, ma non era diverso dai suoi colleghi. È stato scritto che ho messo “Cadorna sul lettino dello psicanalista”, ma a me interessava dimostrare che era un perfetto rappresentante della sua casta: i professionisti della guerra europei».

Quale vuoto storiografico ha inteso riempire?

«Innanzitutto l’assenza di una ricerca critica su uno degli uomini più potenti dell’Italia unita, sulla sua formazione culturale, sul suo contesto sociale e familiare. Non si può capire una guerra senza studiare coloro che la gestiscono».

Cadorna sbagliava a considerare i politici italiani troppo deboli o troppo liberali?

«Ciò che egli bollava come “debolezza” dei politici era il rispetto delle libertà statutarie e della prassi parlamentare. Conservatore, disprezzava le conquiste democratiche e l’eccessiva libertà delle masse».

Fu più convinto della propria infallibilità o più ossessionato dall’incapacità di ammettere gli errori?

«Il senso della predestinazione è ricorrente nei suoi scritti privati: il padre aveva conquistato Roma, lui doveva portare i confini italiani a Trieste. Ma era anche assillato dallo status di capo: le sue decisioni erano insindacabili e, quando sbagliava, era abile a scovare capri espiatori».

Che cosa lo mantenne così a lungo nella sua posizione, fino a Caporetto?

«Il mito mediatico che gli era stato cucito addosso e la debolezza e la divisione dei governi di quegli anni. Dalla fine del 1915 i ministri civili lo detestavano ma non sapevano chi mettere al suo posto. Cadorna divenne così “l’insostituibile”, un emblema della nostra vita pubblica di tutti i tempi».

Idolatrato prima, demonizzato poi…

«Non fu privo di meriti, ma la sua rigidità mentale gli impedì di imparare dall’esperienza. Rimase un nostalgico delle battaglie e dell’obbedienza degli eserciti preunitari di mestiere».

È vero che il fascismo lo riportò in auge?

«In realtà fu attuata un’efficace politica mediatica di banalizzazione della sua figura. Mussolini decise di elevarlo agli altari per depotenziare le polemiche legate a Caporetto, che minacciavano di minare il consenso alla guerra, proposta dal fascismo come proprio atto fondante. Cadorna fu nominato maresciallo d’Italia insieme a Diaz, ma l’operazione fu solo di facciata».

Che cosa ne pensa della rimozione del nome di Cadorna dalla toponomastica, come avvenuto a Udine?

«È un modo di replicare il trucco di Mussolini, ma con segno contrario. Noi europei del XXI secolo possiamo giudicare Cadorna crudele e altero, ma fu un tipico generale della sua generazione. Se dovessimo basarci sulla sensibilità politicamente corretta di oggi per modificare i luoghi della memoria, dovremmo fare altrettanto con vie e piazze intitolate ai protagonisti del Risorgimento... Non abbiamo bisogno di oblio, ma di più memoria, rigore e verità storica». —

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