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Rock in alta quota, i dubbi del Cai: «La montagna non è un pezzo di città»

Ma il direttore del Consorzio promozione turistica difende a spada tratta il mega concerto al Gilberti

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LUCIANO SANTIN

«La strada per automobili attraverso la Val Raccolana, fin su al ricovero e oltre, aprì il dolce angolo tranquillo di Nevea al frastuono del mondo. Poi mise le mani devastatrici nei boschi». Così, quasi cent’anni fa, Julius Kugy. Che, sebbene musicofilo e musicista sarebbe probabilmente trasalito di fronte alle migliaia di spettatori saliti l’altro giorno a Prevala per il concerto di Brunori Sas.

La folla attorno al rifugio Gilberti - 7 mila anime – è niente rispetto ai 220 mila fan di Vasco Rossi convenuti a Modena. Ma la tendenza non accenna a diminuire.

«Da diversi anni si fanno cose del genere: Woodstock a duemila metri. Sono stato a un concerto di Vecchioni: i pascoli nereggiavano di persone, il che non sarebbe male, in sé, non fosse che, alla fine, era tutto un immondezzaio. D’altro canto, se non c’è un’educazione al rispetto ambientale da bambini...», commenta lo scrittore alpinista Mauro Corona. «Comunque non sono contrario a iniziative del genere: possono far avvicinare alla montagna attraverso la musica, e viceversa. Certo, la dimensione alpina, nella folla, non la si può percepire. Però, poi, magari qualcuno trova la voglia di ritornare lì da solo».

Stefano Sinuello, presidente di Assorifugi, che riunisce i gestori dell’ospitalità in quota, pesa le parole con cautela. «L’entità del fenomeno ha poco a che fare con luoghi e strutture della montagna. Noi organizziamo un festival, “Note e parole in rifugio”, dove le presenze si contano a decine di persone o poco più. Con settemila spettatori siamo su un altro piano, va smarrita la dimensione di intimità con la natura. Va da sé che per i rifugisti c’è un beneficio, però gestire una massa del genere e offrire un buon servizio può diventare problematico».

«Ormai le persone vengono mosse solo dagli eventi», conclude Sinuello. «Ma c’è il rischio di trapiantare tra i monti un pezzo di città».

Su questo tasto batte anche il Cai. «Tendenzialmente non possiamo che essere critici verso la crescente tendenza a trasferire atteggiamenti e riti tipici dell’area urbana in un ecosistema delicato, da godere nelle sue peculiarità esclusive: la bellezza, i profumi, gli ampi spazi, i silenzi e la solitudine. A fine novembre, con il Cai del Veneto, terremo un convegno a Longarone, proprio sulla montagna iperfrequentata, o frequentata male», commenta il presidente regionale Silverio Giurgevich. «Ciò premesso, capisco le aspettative, e gli interessi dei gestori. Senza voler spezzare lance a favore, i problemi di altre zone alpine qui sono quasi inesistenti. Ho partecipato a un paio di queste iniziative, e mi hanno colpito, con le scelte musicali, la compostezza e il riguardo da parte di un pubblico in buona parte salito a piedi».

«In punta di piedi, direi, psicologicamente e fisicamente. Può capirlo solo chi c’è stato», dice convinto Dario Tognoni direttore del Consorzio di promozione turistica del Tarvisiano, organizzatore dell’evento. «Un fiume di persone, per lo più giovani, che ha iniziato a salire verso Conca Prevala a partire dalle 6 del mattino, perché solo un terzo ha preso la funivia. Un popolo che ha ascoltato rapito, e con un enorme rispetto per l’ambiente, tanto che i volontari chiamati per la pulizia del ghiaione non hanno trovato nulla. E’ stato un momento educativo. D’altro canto abbiamo voluto strade chiuse anche per il concerto organizzato sull’altipiano del Montasio e per quello che faremo al lago di Fusine. Per quest’ultimo, il solo a pagamento, abbiamo dichiarato il sold out già due mesi fa, per evitare impatti eccessivi»,

«Se poi guardiamo al ritorno di immagine», conclude Tognoni, «solo il filmato di Ambra Angiolini, che era presente a Prevala, è stato visto da 130 mila persone in poche ore». —





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