Ogni estate si arricchisce di nuovi libri sulla vicenda della presenza dei Cosacchi in Carnia nell’ultimo anno della seconda guerra mondiale. Tanto interesse fa da contraltare al lungo silenzio di decenni dovuto a sentimenti di rimozione se non di omertà.
Un tempo oggi incomprensibile, in cui le vittime provavano vergogna e per difendere la propria dignità non chiedevano verità e giustizia. Probabilmente si volevano dimenticare tragedie familiari che avevano visto fratelli e parenti coinvolti su fronti opposti, partigiani o repubblichini.
Così le celebrazioni per la Liberazione non hanno mai posto come priorità un’indagine seria per scoprire i responsabili della strage di Malga Promosio del luglio 1944.
Torniamo alla triste storia dei cosacchi e all’occupazione della Carnia da parte non solo di un esercito ma addirittura di un popolo. La cosa appariva così stravagante che Indro Montanelli l’8 marzo 2000 intitolava la sua rubrica, La stanza di Montanelli con questo titolo: “I cosacchi e la magia della memoria”.
A una lettrice che ricordava il trasferimento di 150.000 cosacchi da parte dei tedeschi in Friuli con la promessa che quel territorio sarebbe divenuto dopo la guerra la loro patria e che riproponeva negli occhi di bambina «l’immagine chiara dei cavalieri cosacchi che attraversavano al galoppo sfrenato il paese del Friuli dove ero sfollata: i mantelli neri svolazzavano, i colbacchi di pelo e i lunghi baffoni neri. Noi bambini li guardavamo affascinati e impauriti. I cosacchi erano accampati su un prato vicino al paese, con le loro donne e i loro carri e cucinavano all’aperto con le pentole sospese a treppiedi di legno».
La lettrice si appellava a Montanelli per togliere dall’oblio questo episodio. Montanelli liquidava invece la questione appunto alla magia della memoria, a immagini del ricordo infantile sovrapposte alla realtà. In realtà riconosceva che «qualcosa di vero nella evocazione di questa scena di cosacchi sfreccianti coi loro cavalli nelle campagne del Friuli, ci dev’essere perché la loro presenza mi è stata segnalata anche da altri lettori e lettrici, che mi chiedono dove poi siano finiti».
Aggiungeva Montanelli che sicuramente un consistente gruppo di cosacchi avesse chiesto di venire accettato e impiegato come truppa ausiliaria della Wehrmacht, «ma non mi risulta affatto che i tedeschi si fossero impegnati, a guerra finita e vinta, a dargli in premio la sovranità sul Friuli, anzi lo escludo categoricamente... Li adibirono, nelle zone di loro occupazione, ai servizi più bassi come quelli di guardiani dei lager, e con loro non presero altro impegno che quello di non riconsegnarli ai russi».
Infine insisteva con un tono al limite dell’arroganza che «tutto questo non conferisce molta verisimiglianza alle immagini che si sono scolpite nella sua fantasia infantile: quelle, forse accreditate anche da racconti uditi in casa o all’asilo, d’indomiti cavalieri in groppa a destrieri senza sella e con la criniera al vento… Ahimè, cara signora, tutto questo fa a pugni con la realtà, purtroppo molto più semplice e brutale». Io ricordo bene i racconti simili di pochi anni fa che mi faceva Matteo Brunetti, della famiglia di Paluzza proprietaria della Malga Promosio.
Soprattutto stupisce che Montanelli non conoscesse il libro di Claudio Magris, “Illazioni su una sciabola”, edito da Cariplo-Laterza nel 1984, quindici anni prima della risposta alla lettrice colpevole di aver proposto una fake news. Il libro assai affascinante e che rimane un testo insuperato, era dedicato ad Alberto Cavallari, già direttore del Corriere della Sera.
La breve presentazione riassume con nettezza la vicenda: «I fatti storici cui fanno riferimento queste pagine si sono svolti in Carnia fra l’estate del ’44 e la primavera del ’45. La Carnia era occupata dai tedeschi e dall’armata dei cosacchi che essi avevano organizzati in Bielorussia durante l’invasione dell’Unione Sovietica…I nazisti avevano promesso loro una patria, un Kosakenland, e questa nuova patria avrebbe dovuto essere la Carnia, nella quale essi arrivarono nel tardo ’44…Nel ’45 questa odissea finì con la ritirata in Austria, la resa agli inglesi, la consegna ai sovietici e il suicidio collettivo di molti cosacchi nella Drava». Si chiudeva così la «tragica e grottesca occupazione» della Carnia da parte dei cosacchi.
Il tema oggi è come far vivere la regione di montagna del popolo duro che subisce spopolamento e abbandono. Identità e rinascita non sono in contraddizione. —