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Camon: stiamo cedendo sul caso Regeni, i soldi contano più della giustizia

Lo scrittore e giornalista: le parole del machiavellico Luttwak sono state un presagio. Al Sisi è nemico del terrorismo, impossibile che resti isolato

Ferdinando Camon
1 minuto di lettura

UDINE. Che il braccio di ferro fra Italia ed Egitto sulla giustizia per Giulio Regeni potesse finire non-bene per noi lo si poteva intuire quando si pronunciò Edward Luttwak, grande consigliere del governo degli Stati Uniti e del Pentagono.

Uomo di Destra, esperto, scaltro, cinico, machiavellico puro, parla spesso dei nostri problemi, sia sui giornali americani che nelle tv italiane.

LEGGI IL NOSTRO SPECIALE SUL CASO REGENI

Sul caso di Giulio Regeni, studente italiano di 28 anni, dottorando all'Università di Cambridge, e da questa mandato a svolgere una ricerca socialmente e politicamente delicata al Cairo, sulle condizioni dei lavoratori ambulanti, e al Cairo sequestrato, torturato e ucciso, quando le ricerche delle autorità italiane giunsero a indicare una squadra della polizia egiziana come sospetta del crimine, Luttwak si alzò a dire che «era una vergogna».

Per il governo egiziano o per gli italiani?, «per gli italiani» che cosa era una vergogna?, «mettere sotto accusa il governo egiziano di Al Sisi», perché, si era forse sicuri che Al Sisi fosse innocente?, «si era sicuri che Al Sisi era un forte nemico del terrorismo e di fronte a questo grande merito l'eventuale complicità nella tortura e nella morte di uno studente italiano era una piccola cosa, da passarci sopra».

Noi, in Italia, vediamo le cose da italiani, se nel mondo viene ammazzato un italiano chiediamo giustizia. Ma il mondo si chiede cos'è la giustizia, quanto costa, chi ci guadagna e chi ci perde. Non solo il mondo, l'Italia stessa si fa queste domande.

Avevamo chiesto all'Egitto di arrestare e indagare quei poliziotti sospetti, avevamo ritirato l'ambasciatore, avevamo bloccato gli scambi commerciali, specialmente dei prodotti che noi facciamo così bene e dei quali tutta l'area intorno all'Egitto ha un grande bisogno e cioè le armi.

Questo blocco doveva continuare fino a quando il caso Regeni avesse avuto una svolta. Prima la giustizia, poi gli affari. Da alcune note diffuse sappiamo che gli affari son ripresi a pieno ritmo, la vendita delle nostre armi all'Egitto tocca un vertice, eppure giustizia non c'è stata e non solo non ci sono più le condizioni per isolare l'Egitto tra i Paesi nemici della giustizia, ma si aprono le condizioni per fare dell'Egitto uno stato-guida della giustizia.

L'Onu infatti apre proprio in Egitto una conferenza mondiale sulla tortura nel mondo arabo. Al Cairo. Non è uno sgarbo solo verso noi-Italia. Ma verso tutti i democratici del mondo, compresi quelli egiziani. I cittadini egiziani imprigionati e torturati sotto Al Sisi si calcolano in più di 60 mila. Ha ragione Luttwak. Cioè Machiavelli. Prima vengono i soldi, poi forse la giustizia. —




 

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