UDINE. Mi raccontava il collega Sergej Premru, del Primorski, dei quaderni di suo padre, scolaro a Radzrto, in Val Vipacco. Un’accozzaglia di parole senza senso, una delle quali ricorreva sistematicamente: “bundo”. Costretti a scrivere sotto dettatura in una lingua ignota, i piccoli avevano identificato la sola parola “punto”, ripetuta alla siciliana dal maestro.
Aneddoto divertente, non fosse per il carico di sopraffazione, di fatica, di sperdimento provato da bambini colpevolizzati come “allogeni” e forzati a rinunciare all’identità.
«Si può con tutta facilità sacrificare 500 mila barbari slavi per 50 mila italiani», aveva dichiarato Benito Mussolini.