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Le Chiese di Aquileia e di Alessandria sono le vere interpreti di quella romana

Don Gilberto Pressacco scrisse sul tema un testo divulgativo. L’editore Gaspari ha dato nuova veste al volume del 1998

3 minuti di lettura

Tutto cominciò nella gioventù trascorsa a Turrida, paese a due passi dalla Coderno di padre Turoldo, quando Gilberto Pressacco si appassionò per tradizione familiare alla musica corale. E lui dirigeva abitualmente almeno due cori, circostanza alla quale non fece caso finché una notte (perché in questa storia molto accadde dal tramonto in poi, nelle ore di silenzio e buio quando il fuoco delle scoperte diventava più scintillante), sfogliando un vecchio saggio del musicologo Egon Wellesz dedicato allo studio degli influssi orientali sul canto della Chiesa Latina, notò una minuscola nota che attirò la sua attenzione onnivora, mai distratta.

Vi era scritto che la prima attestazione in epoca cristiana di “canto a due cori”, cioè antifonico, a botta e risposta, con esecuzione alternata di uno stesso tema da parte di due gruppi, era presente in un’opera intitolata “De vita contemplativa”, scritta verso gli anni 40 dopo Cristo dal filosofo Filone di Alessandria d’Egitto, che raccontava di una strana comunità di uomini e donne stabilitasi vicino alla città africana, allora metropoli da un milione di abitanti, in un volontario ritiro fatto di meditazione e preghiera.

Erano chiamati Terapeuti, usavano riunirsi per lodare Dio ogni sabato e tutta la notte cantavano e ballavano, dapprima divisi in due cori, poi fusi in uno solo, fino a raggiungere un’estasi collettiva, simile a quella che si accompagnava ai riti bacchici.

Gilberto, stupito davanti a quelle poche righe che sarebbero sfuggite a qualsiasi altra persona meno fervida e colta, ebbe la prima di una serie di intuizioni che, in un accavallarsi di pensieri e scoperte, lo hanno accompagnato fino alla fine dei suoi giorni, quando si spense forse proprio come conseguenza d’un eccesso di passioni ed entusiasmi, da proporre a chi lo ascoltava un po’incredulo vedendo in lui una sorta di sciamano unico e sorprendente.

Quella notte Gilberto collegò il racconto di Wellesz (avendo la capacità rabdomantica di unire le tesserine singolari di un puzzle con il quale motivare la Grande Idea che lo aveva pervaso) a una lettera-denuncia, trovata nell’Archivio udinese del Tribunale dell’Inquisizione, con la quale il 10 giugno 1624 lo zelante curato di Palazzolo dello Stella chiedeva aiuto per estirpare la radicatissima “superstizione” coltivata in paese da un gruppo di donne e uomini che la notte della Pentecoste andavano in processione eseguendo a due cori una canzone che cominciava con le incomprensibili parole di “Schiarazzola Marazzola”.

E a guidarli c’era una donna esagitata, Maria Alessandrina. A quel punto tutto un luna park di luci e lucette si accese nella mente di Gilberto che conosceva bene quel canto, uno dei più celebri nella nostra tradizione, tanto da essere inserito in una raccolta data alle stampe a Venezia nel 1578 da Giorgio Mainerio, maestro di cappella di Aquileia.

Tutti questi elementi rappresentavano un mosaico di interrelazioni per avvicinare luoghi distantissimi come Alessandria d’Egitto e la nostra Aquileia. Era il 1990 e don Gilberto Pressacco impresse una svolta al suo cammino per narrarci una storia che non conoscevamo, dando così seguito a quanto fino a quel momento, partendo dagli studi di don Guglielmo Biasutti, era rimasto molto ai margini e ignorato nelle interpretazioni storiche ufficiali.

Il sorgere del Sacro Romano Impero aveva determinato dunque l’accentrarsi del potere temporale in mano dell’imperatore e di quello spirituale in capo al Pontefice, tutto ciò in una chiave romano-centrica e paolina. Anche la Chiesa di Aquileia ne fu investita, ma riuscì a conservare tratti originali propri, presenti in quello che fu chiamato rito patriarchino.

Insomma le Chiese di Alessandria e Aquileia sorte nel segno di San Marco – ci disse don Pressacco – «sono state e potrebbero essere le vere interpreti di quella romana, esattamente come Marco lo fu di quel Pietro su cui Cristo ha fondato la sua Chiesa.

Ne potrebbe nascere allora una Chiesa forse meno potente, ma più umile, semplice e popolare. Una comunità meno paolina e più petrina: marciana, ermacoriana, sublime! ».

Con queste parole si chiude un libro fondamentale per consentire a tutti di addentrarsi in tali mondi. Si intitola “Viaggio nella notte della Chiesa di Aquileia” e lo pubblica l’editore Gaspari di Udine che ha deciso di ristampare in una nuova veste quello apparso nel 1998, poco dopo la morte di don Gilberto Pressacco avvenuta il 17 settembre 1997. Al di là di altre sue opere, come i saggi raccolti ne “L’arc di San Marc”, Gilberto aveva immaginato un testo molto divulgativo usando il metodo dell’intervista e con lui collaborò Raffaella Paluzzano, che poi ha portato a termine l’opera. In quelle pagine si dice tanto della storia e del carattere di noi friulani, “rusticitas” compresa. —


 

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