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Contano gli affari più della giustizia: la verità su Giulio ora è più lontana

Una forte critica alla decisione del governo italiano da parte di Pierluigi Di Piazza. La vendita delle navi all’Egitto è di una gravità inaudita

pierluigi di piazza
3 minuti di lettura
(ansa)

UDINE. L’ultimo incontro nella sede sala Petris del Centro Balducci, prima della necessaria chiusura, si è svolto il 22 febbraio per la presentazione del libro “Giulio fa cose” con la presenza dei genitori del ricercatore Paola e Claudio e di Alessandra Ballerini, tutti ammirevoli, e di tante persone.

Qualche giorno fa ho scritto loro a commento di quanto sta avvenendo: “Cari Paola e Claudio, sconcerto, sdegno e dolore, questi sono alcuni miei sentimenti; ci sentiamo presto, con vicinanza.”

Dunque l’Italia ha venduto all’Egitto due fregate “Fremm” realizzate per la Marina militare italiana; pare che questa costituisca solo la prima tranche di una cospicua commessa di armamenti prodotti in Italia ordinati dal governo egiziano in cui sarebbero incluse altre 4 navi e 20 pattugliatori, oltre a 24 caccia “Eurofighter” e 24 aerei addestratori.

Per Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio Opal di Brescia, si profila un maxi affare da 9 miliardi, il contratto maggiore del dopoguerra “che farebbe dell’Egitto il principale acquirente dei sistemi militari italiani”.

“Rete italiana per il disarmo” e “Rete della pace” ritengono “inaccettabile, oltraggiosa e in aperto contrasto con la normativa vigente l’autorizzazione del governo a forniture militari alle forze armate egiziane, visto che la legge 185 del 1990 vieta esplicitamente l’export di armamenti a governi responsabili di violazione dei diritti umani (com’è quello guidato da al Sisi, accusato ripetutamente di abusi da parte di Amnesty International)”.

Mia convinzione è che le armi non si dovrebbero mai produrre e vendere a nessuno e che si operi per la riconversione dell’industria bellica, per la scuola, la salute, il lavoro, i servizi sociali, l’arte, la musica.

Stiamo poco a poco uscendo, lo speriamo vivamente, auspicando l’attenzione e le precauzioni necessarie di tutti, dalla pandemia del coronavirus, qui da noi, mentre in altre parti del mondo la situazione permane nella sua drammaticità.

Ci si pone la questione se questa terribile esperienza con un numero impressionante di vittime ci sia di monito e di insegnamento su alcune questioni fondamentali: contano primariamente i beni materiali, gli affari o la vita, la verità e la giustizia come per Giulio Regeni? Contano la violenza, la violazione dei diritti umani, le armi o nuovamente la vita, la verità e la giustizia?

L’individualismo del ciascuno per se o la solidarietà reciproca? Lo sfruttamento della terra e dell’ambiente o finalmente la cura di tutte le espressioni della vita? Cos’è servito fabbricare, vendere, accumulare sempre più armi sofisticate e di distruzione di massa se ora l’umanità è stata colpita in modo così devastante e impaurita da un virus invisibile, dimostrando come la difesa delle armi è del tutto inefficace?

Einstein ha affermato che: “la visione del mondo che ha creato la crisi non può essere la stessa che ci porta fuori dalla crisi”.

L’umanità deve cambiare, costruire un nuovo modo di essere, pensare e agire su scala planetaria. È fondamentale diventare corresponsabili, consapevoli delle conseguenze positive o negative delle nostre azioni; siamo chiamati a decidere per la vita, non per la morte; per la pace, non per le armi e le guerre; per la verità e la giustizia e non per il loro occultamento.

In noi esseri umani c’è la possibilità della profondità dell’animo e della coscienza, della forza interiore positiva che può guidarci al bene. Nell’ambivalenza c’è anche la parte negativa che si concretizza nel male come è avvenuto tragicamente nel sequestro, nella tortura e uccisione di Giulio, in un tale modo da portare la mamma Paola a dire di aver visto nel corpo straziato del figlio “tutto il male del mondo”.

Quello che è avvenuto con la vendita delle navi militari all’Egitto e con altre commesse progettate è di una gravità inaudita; è un muro di acciaio che si frappone come ostacolo alla ricerca della verità e giustizia, per Giulio.

La questione riguarda l’amore fra i genitori e il figlio, fra la sorella e il fratello; i diritti umani violati con il sequestro, la tortura e l’uccisione; i continui ostacoli frapposti alla ricerca della verità e giustizia, dai depistaggi alla mancanza di collaborazione, e alle false dichiarazioni, alle minacce a chi è attivo in Egitto, alle promesse verbali della politica italiana senza seguito operativo.

Partecipiamo al dolore di Paola e Claudio quando chiedono di non nominare più Giulio da parte di chi poi non agisce per affermarne la dignità, anzi opera al contrario: basta nominarlo, dicono, perché si tratta solo di strumentalizzazione. Concordiamo pienamente.

Il libro “Giulio fa cose” scritto dai genitori e dall’avvocato Alessandra Ballerini ripercorre tutta la dolorosa vicenda e il loro continuo, determinato, dignitoso, ammirevole impegno. Tutto è sconvolgente, con un passaggio particolarmente terribile in cui si afferma che per descrivere gli esiti dell’autopsia sul corpo di Giulio ci sono volute 225 pagine. È proprio orribile accostare il suo corpo così straziato alle armi perché significa colpirlo ancora.

Il popolo giallo è diffuso, ricco della sua umanità e diversità, unito dal medesimo fine della verità e giustizia. Si fa e si farà sentire. Una dimensione molto importante che Paola e Claudio, Irene, Alessandra continuamente evidenziano è quella di parlare di Giulio e insieme di Patrik e di tutte le “Giulie” e di tutti i “Giuli” dell’Egitto e del mondo, di ogni popolo, cultura, colore, religione, certamente anche di George Floyd.

Il popolo giallo e il popolo nero camminano insieme a tutta quell’umanità che chiede il rispetto dei diritti umani, la verità e la giustizia per tutti. Ne siamo parte. —


 

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