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Massimo Somaglino racconta da regista gli alpini fucilati a Cercivento

Per due volte il Covid ha impedito il debutto dello spettacolo al Giovanni da Udine. L’attore sarà ospite dell’Ert con l’autore Tolazzi, Bevilacqua, Maione e Quezel

2 minuti di lettura

UDINE. Per due volte a un passo dal debutto al Teatrone. E per due volte il Covid gli ha fatto lo sgambetto. Ma il nuovo allestimento di “Cercivento” si farà non appena le stagioni teatrali potranno pigiare il tasto play e a proporlo, in regione, ci saranno sicuramente il Giovanni da Udine e il circuito Ert, impegnati in un continuo fare e disfare programmi.

La regia è di Massimo Somaglino – già interprete e ideatore con Riccardo Maranzana dello spettacolo cult che esordì nel 2003 al Mittelfest – che ha voluto ridare voce agli alpini fucilati nel borgo carnico, contribuendo alla battaglia per la loro riabilitazione; la produzione è del Teatro dell’Elfo di Milano con il contributo del Comune di Cercivento. Somaglino sarà domani ospite della rubrica web dell’Ert “Il teatro a casa tua” (la diretta alle 18.30 sulla pagina Facebook) assieme al direttore artistico del Teatro Nuovo Giovanni da Udine Giuseppe Bevilacqua, all’autore dell’intenso testo Carlo Tolazzi e agli attori Alessandro Maione e Filippo Quezel.

Perché raccontare un nuovo “Cercivento”?

«Nel 2003 lo spettacolo, di cui ero interprete e anche regista, bellissima esperienza di théâtre en rond condivisa con Maranzana, debuttò al Mittelfest. Racconta l’ultima ora di 4 condannati a morte perché accusati di insubordinazione. L’idea era di creare uno spazio chiuso, inaccessibile, circondato dal pubblico: pavimento e corpo del compagno quali unici strumenti di lavoro. La mia intenzione, anni dopo, è stata quella di consegnare a due altri giovani attori questa intensa storia da raccontare, che in realtà è un grosso peso da portare, e questa modalità di teatro ridotto alla sua essenza».

Il Covid si è imposto anche nell’allestimento?

«La pandemia ha cassato due volte il debutto: i teatri sono stati chiusi poco prima sia dell’esordio nazionale previsto a febbraio 2020 al Giovanni da Udine sia della sua riprogrammazione lo scorso ottobre. Quest’ultima versione era stata tra l’altro modificata perché i protocolli Covid avevano previsto anche il distanziamento tra gli attori sul palco, oltre al distanziamento del pubblico in sala e quello tra spettatori e artisti. La modalità della prima rappresentazione, che prevedeva un contatto fisico serratissimo tra i due attori, non si poteva più fare. È stato riformulato lo spettacolo, ripensandolo sulla base delle nuove regole».

Come è stato il passaggio da attore e regista?

«Ogni attore racconta la sua storia, ha il suo corpo, la sua fisicità con cui fare i conti. Inizialmente avevo pensato di riproporre lo stesso percorso che avevo fatto con Maranzana all’epoca, ma poi mi sono reso conto che non era possibile. Il regista deve fare un passo indietro, comportarsi come un “maestro” che accompagna l’artista nel trovare le proprie risposte, che hanno a che fare anche con la sua biografia. Ho portato Alessandro Maione e Filippo Quezel in gita a Cercivento, a vedere i luoghi, il cippo, a parlare con le persone del posto. Ho risparmiato loro soltanto la salita al monte Cellon, che all’epoca io avevo invece fatto».

Progetti e scenari futuri?

«Di progetti ce n’è tanti. Con il Teatro dell’Elfo sto lavorando alla rappresentazione di Moby Dick di Orson Welles. E poi c’è la volontà dei lavoratori dello spettacolo di ottenere il reddito di intermittenza, dal momento che è connaturato al lavoro di un artista il fatto di essere senza contratto in alcuni periodi, che però si sfruttano per un continuo aggiornamento. Lo scenario futuro è ovviamente difficile da prevedere, ma è necessario dare fiducia alla categoria e riaprire i teatri: le sale sono sicure con mascherine, distanziamento e misurazione della temperatura».
 

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