La Carnia in bianco e nero di Stefano Giacomuzzi in gara al festival della Saf

Il festival della Società alpina friulana propone domani, venerdì 12, al suo pubblico di appassionati della montagna un documentario d’autore: Sotto le stelle fredde, di Stefano Giacomuzzi. La visione sarà gratuita e si terrà in diretta online a partire dalle 21 sui canali YouTube e Facebook e sul sito della Saf. Al termine, ci sarà l’incontro con il regista. Laureatosi in cinematografia nel Regno Unito, Giacomuzzi, 25 anni, udinese, ha lavorato per un anno a Fabrica del gruppo Benetton. Sotto le stelle fredde è stato in concorso al Trento Film Festival 2020 e ha vinto il premio Bei Young Doc Under 30 al Festival di Bellaria.
Com’è nata l’idea del film?
«Lontano dalle nostre montagne: sentivo la mancanza di contatto con un determinato tipo di mestieri e di vita. Ho cominciato le riprese a Casera Ielma di Sopra e quest’esperienza mi ha permesso di incontrare i protagonisti e creare, specialmente con Odino, il pastore, un legame di amicizia che va oltre il film. Da qui il tema centrale è diventata la narrazione di una giornata di lavoro di una coppia di casari, di un pastore e di due apicoltori».
Dove è stato girato?
«Le riprese sono state fatte nell’Alta Carnia, fra Buttea (Tolmezzo), l’alpeggio a Casera Vecchia (Cima Sappada) e a Ovaro (Val Pesarina)».
La scelta del bianco e nero, che però non riguarda tutto il film: perché?
«Ho rappresentato l’uomo e la sua fragilità nelle tonalità di grigio per conferirgli una distanza temporale, di provenienza dal passato, in contrapposizione all’eternità colorata della montagna».
Una forza vitale che resiste alla contemporaneità: è questa la montagna?
«Sì, perché è capace di trasportarti in una realtà diversa, a cui non siamo abituati, dove la fatica è concreta, la sveglia suona prima dell’alba e il tempo scorre piano».
Il carnico parlato è a tratti incomprensibile, ma non ci sono i sottotitoli: come mai?
«La scena finale è l’unico momento in cui la parola è significante: le bestemmie del pastore, paradossalmente interpretabili come una preghiera che non potevo che mantenere».
La particolarità del film?
«La struttura circolare, lo svolgersi della narrazione su piani temporali di profondità diversa, seguendo una giornata, un anno e una vita intera».
Il prossimo lavoro?
«Si chiamerà Pozzis, Samarcanda e racconterà il viaggio in moto di 14 mila chilometri fino a Samarcanda di Cocco, solitario abitante di Pozzis in Val d’Arzino». —
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