“Sono trent’anni che cerco di parlargli e lui lo sa, e forse vorrebbe parlarmi anche lui. Ma non può. È un murato vivo. Ci guardiamo e ci vogliamo bene attraverso una grata”.
A scrivere nel suo diario di Dino Buzzati, pochi mesi prima della sua morte – avvenuta a Milano il 28 gennaio 1972, a 65 anni – è l’amico di una vita Indro Montanelli, che aggiunge poche righe più in là: “Sembra proprio uscita da un suo racconto, questa morte che, senza mostrarsi, gli si avvicina per sentieri nascosti e avvolgenti. È tutto un gioco, fra lui e lei, che lo atterrisce e lo affascina”.
Qualche anno fa le sue ceneri sono state disperse dalla moglie Almerina (sposata nel 1966, lui 60enne e lei appena 25enne, e scomparsa nel 2015) sulle amate Dolomiti, che coi loro picchi, le valli, i colori cangianti avevano sempre popolato i suoi sogni e rappresentato “l’unico punto fermo della mia vita”, come dichiarò in un’intervista, metafora della sua inquietudine e dei suoi sogni. Buzzati aveva vissuto sempre a Milano, ma quando diceva “la mia casa”, raccontava Almerina, si riferiva inequivocabilmente alla villa di famiglia di San Pellegrino, a Belluno, dov’era nato il 16 ottobre del 1906.
Nel capoluogo lombardo frequentò il liceo classico Parini e la facoltà di legge, ma nel 1928 venne assunto al Corriere, commentando nel suo diario con scarsa lungimiranza “presto sarò cacciato come un cane”: in realtà fece nel giornale una carriera prestigiosa, passando da cronista a corrispondente di guerra, da critico d’arte a inviato e vicedirettore.
In parallelo col giornalismo però aveva portato avanti fin dagli anni ’30 una fiorente attività di scrittore, che lo vide pubblicare con crescente successo sei romanzi, quasi tutti trasposti in film e tradotti in varie lingue (da “Bàrnabo delle montagne” a “Il segreto del Bosco Vecchio”, da “Il deserto dei Tartari” che nel 1940 gli diede la fama a “La famosa invasione degli orsi in Sicilia”, da “Il grande ritratto” a “Un amore”) e quasi 200 racconti e novelle (che gli valsero il Premio Strega nel 1958), vari scritti per il teatro e per l’opera musicale, poesie e cataloghi d’arte.
Anche se egli sosteneva, forse scherzosamente, a proposito della sua produzione pittorica che traduceva in immagini surreali le sue inquietudini e i suoi sogni (si veda il testamento artistico, “I miracoli di Val Morel”), di essere piuttosto “un pittore il quale, per hobby, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista”, solo che per veder riconosciuto “il mio gigantesco talento… bisogna che prima io defunga”.
Il Buzzati scrittore fu ai suoi tempi un “oggetto misterioso”, in quanto non ascrivibile a nessuna delle correnti letterarie egemoni, e in particolare a quella neorealista, per la sua inesausta capacità di costruire, seppure con materiali del tutto realistici, mondi fantastici nei quali le storie narrate passano “senza soluzione di continuità dall’ordinario allo straordinario” (ancora Arslan).
Grazie al lavoro di Nella Giannetto e dell’Associazione Buzzati, anche nell’attivissima branca francese, l’attenzione della critica negli anni ha analizzato con sempre maggior precisione le molteplici facce dello scrittore. Resta da decifrare invece la figura dell’uomo Buzzati, col suo cortese distacco e il suo groviglio esistenziale che tanto angustiava l’amico Indro Montanelli.
Il cinquantenario comunque contribuirà a definire ulteriormente alcuni aspetti della sua vita e della sua opera: si parte giovedì e venerdì con il convegno dello Iulm di Milano “Dino Buzzati e la parola” (streaming go.iulm. it/convegnobuzzati). Le università di Ca’ Foscari e Chambery affronteranno invece in due convegni paralleli il tema “Buzzati e il segno”, sul suo lascito artistico, mentre l’Accademia Hristov di Roma e il Teatro Stabile del Veneto metteranno in scena le sue opere liriche, e i maggiori istituti di cultura europei ospiteranno altri eventi a lui dedicati.
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