Gina Pavan: vi racconto il mio Lino
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«Lavoro, lavoro e lavoro, all’infuori di mezz’ora di riposo dopo pranzo, quando poteva concederselo». La giornata tipo di Lino Zanussi, come racconta la signora Gina (Angela Pavan), la sua compagna di vita per più di vent’anni, era così. Era la giornata di un uomo pubblico che sapeva però rimanere “privato” anche in quei panni. Nella veste di capitano di industria insolitamente amato dagli operai, di uomo serio, riflessivo, ma anche ironico e soprattutto umano. Non c’era Lino Zanussi per la famiglia e Lino Zanussi per la fabbrica. Per tutti c’era Lino Zanussi. Anche se in casa parlava poco dei suoi progetti, «con discrezione – ricorda la moglie - anche perché desiderava non coinvolgere la famiglia nella complessità del suo lavoro», il futuro, l’innovazione, le sfide del mercato erano sempre nei suoi pensieri.
Il colpo di fulmine. Lino e Gina si conobbero nel 1944 «ad una festa in casa di amici – prosegue la moglie -. Mi colpì subito la sua serietà e la simpatia. Dopo un anno ci sposammo». Nell’album dei ricordi non manca quella del giorno delle nozze. Dal matrimonio sono nati Paola, Antonia e Andrea. «Era un papà ed un marito molto affettuoso, premuroso» racconta Gina e non si stenta a crederlo guardandolo nelle foto al mare con le sue due belle bambine, o abbracciato con Paola, la maggiore, o ancora mentre corre incontro ad Andrea, il più piccolo. Una famiglia alla quale Lino era legatissimo e dalla quale il destino l’ha separato troppo presto. Come presto si era divisa la sua famiglia d’origine. La mamma di Guido e Lino, Emilia, era infatti morta quando loro avevano appena 8 e 5 anni. Nei primi anni furono i nonni materni ad occuparsi dei piccoli, fino a quando il padre Antonio non si risposò e da quell’unione nacque anche un terzo fratello, Antonino. Quella dei primi due figli di Antonio Zanussi, fu un’infanzia come quella di tanti bambini dell’epoca, dove il tempo per il gioco e la spensieratezza finì presto. Non appena concluso il primo ciclo di studi – Guido a 13 e Lino a 14 – i figli di Antonio Zanussi iniziarono a lavorare. Già all’epoca il tempo del lavoro assorbiva quasi tutta la settimana, solo la domenica pomeriggio era libera per i ragazzi.
Famiglia e lavoro. «Solo la domenica pomeriggio eravamo liberi – ricordava dieci anni fa sul numero speciale di Eventi, Guido Zanussi -. Pulivamo la bicicletta e quindi si partiva per una gita con gli amici o, quando siamo stati più grandicelli, per andare a trovare qualche ragazza. Raramente si andava al cinema. Quando si poteva ed avevamo qualche ragazzina, si prendeva un palco, all’allora teatro Licinio, per starcene in pace, lontani da occhi indiscreti». L’abitudine di passare gran parte della vita al lavoro, compresi i giorni festivi, Lino non la perderà con gli anni. Le sue riunioni della domenica mattina con i dirigenti se le ricordano tutti. E in pochi avevano il coraggio di dire no. «Iniziava chiedendoti “Cosa fa questa domenica?” E se gli rispondevi che stavi a casa ti diceva “tanto vale venire a lavorare”». Di tempo per moglie e figli, quindi, non ne aveva molto, ma quando c’era la sua presenza si sentiva. In queste parentesi di relax, «faceva sport e qualche viaggio, sempre con la famiglia» aggiunge la signora Gina, mentre per gli amici il tempo era ancora meno. «Aveva amici ma i tempi dei suoi impegni gli impedivano di dedicarsi ad amicizie se non in occasione delle brevi vacanze che si concedeva». Amava soprattutto la montagna, Lino Zanussi, una passione che aveva coltivato fin da ragazzo come raccontava il fratello Guido nel numero di Eventi pubblicato dieci anni fa. «Quando fummo più grandi – spiegava Guido Zanussi dopo aver narrato delle nuotate del Meduna, contro la volontà di papà Antonio, e delle partite di pallone su prati improvvisati – ci prese la passione per la montagna. D’estate si andava in vacanza sulle nostre montagne. In un primo tempo a Claut, poi alla Pussa, in val Settimana dove nostro padre aveva costruito uno chalet in legno». D’inverno invece i fratelli Zanussi andavano a sciare. «Dapprima sulle vicine montagne – raccontava sempre Guido – poi a Cortina. Le nostre piste erano alla Bornass, che raggiungevamo in gruppo, prima in bicicletta fino a Costa di Aviano e poi a piedi, sci in spalla, sprofondando sulla neve anche fino a mezza gamba. Naturalmente di skilift neanche a parlarne e dopo ogni discesa si doveva risalire il pendio a piedi».
Il segreto della Ferrari. La passione per la montagna non era la sola. C’era quella per le automobili, cara a tutti gli Zanussi. Lino aveva comprato una delle prime Ferrari ma quando andava al lavoro la parcheggiava lontano dal capannone. I suoi collaboratori di allora raccontano che lo faceva per pudore, non voleva che gli operai pensassero che si arricchisse alle loro spalle. «Era quasi un gesto di rispetto, come per dire che in fondo era comunque uno di loro» raccontano. Anche questo faceva di Lino Zanussi un uomo eccezionale.
Il rapporto con i fratelli. «Aveva un grande rispetto anche del fratello maggiore – raccontano i suoi collaboratori -. Nonostante fosse lui la mente e l’anima della fabbrica, iniziava sempre un discorso con “Mio fratello Guido ed io...”». Un fratello al quale era molto legato nonostante le profonde differenze di carattere. «Una sera Guido, che si divertiva sempre a fare scherzi al fratello, andò in magazzino e chiese all’addetto del reparto un televisore. Questo naturalmente fece storie perché c’era la bolla d’accompagnamento, una procedura da rispettare. Ma di fronte alle insistenze del signor Guido non poté certo dire no. La mattina Guido andò dal fratello e gli disse. “Lino ma sei davvero sicuro che in questa fabbrica sia tutto sotto controllo?”. “Certo” rispose l’altro. E Guido: “Mi sa che ti sbagli perché ieri sera ti ho portato via un televisore e non te ne sei neanche accorto”». Ma al di là di questi episodi quasi goliardici, l’affetto tra i fratelli era profondo. Lo dimostra anche il fatto che Guido – come racconta la signora Gina ad Eventi – aveva messo gli occhi per primo sulla villa di Ronche che diventò poi casa di Lino e famiglia. Vedendo che al fratello e alla moglie quella casa piaceva molto, Guido decise di lasciarla a loro. E ben presto la villa, con il suo parco, divenne il rifugio di Lino Zanussi, il luogo in cui trascorreva le poche ore di riposo lontano dal lavoro.
Sogni e progetti. La fabbrica rimaneva comunque la sua vita, la sua fonte di ispirazione, e per far crescere il suo sogno si circondò di uomini che, oltre che essere collaboratori, diventavano amici, persone a cui dava piena fiducia. Aveva un dono speciale nel capire le persone, come conferma la moglie «e lo si capisce da quanto è riuscito a costruire e influenzare a livello nazionale e internazionale nell’ambito dei suoi progetti». Progetti che aveva anche per il suo territorio ma che gli furono strappati insieme alla vita. «Quando è morto aveva ancora tanti progetti, molti dei quali – racconta la signora Gina - riguardavano anche Pordenone. Amava il territorio e sognava di vederlo crescere in autonomia con prospettive non troppo provinciali», motivo per cui «non sarebbe mai andato a vivere da un’altra parte – dice la signora Zanussi - amava troppo la sua terra e la sua gente». Questa terra la aiutò sempre, non ultimo per farla emancipare, per dare un’autonomia provinciale a un’identità che esisteva anche grazie allo sviluppo del suo progetto industriale. «In quel tempo gli udinesi non amavano i pordenonesi ma rispettavano ed ammiravano mio marito – ricorda Gina Zanussi - come personalità eccezionale. Fu anche questo che aiutò la nascita della Provincia».
Simbolo di pordenonesità. La pordenonesità Zanussi la mostrava sempre e ovunque, orgoglioso dei suoi valori, e forse anche di certi limiti. Lo spiega bene un articolo del Corriere della sera, a firma Gianfranco Piazzesi, pubblicato il 14 ottobre 1964. «Zanussi – recita il testo – non si trova a capo di un complesso industriale, ma di un’arcadia della produttività. Non fa testo. Il suo sodo ottimismo non può essere scalfito; la formula del suo successo è vaga e, a differenza delle lavatrici, difficilmente esportabile. Zanussi parla di “efficienza aziendale” e non aggiunge una parola in più. Se il nostro imprenditore si scalda un poco, è quando accenna alla sua città, o meglio a una “natura pordenonese” in cui sarebbero esaltate tutte le doti della gente friulana. In questa cittadina, dove ormai si ha una automobile ogni sei abitanti e dove i televisori sono, fatti in casa, i più pretenziosi tributi alla civiltà dei consumi ci parvero alcuni edifici di appartamenti in condominio, che arieggiavano al grattacielo e un negozio di antiquariato».
Vizi e virtù. «Ma resta vero – prosegue il Corriere – che i pordenonesi non hanno fatto pazzie. Zanussi in testa, dopo il lavoro tutti se ne vanno a casa; Zanussi in testa, poco concedono alle tentazioni che dovunque assillano il nuovo ricco. Tutto quel che si guadagna si reinveste; fabbrica, famiglia, produttività, nessuno sgarra». E lui non sgarrava mai. Anche se un piccolo vizio ce l’aveva ed era quello del fumo. La moglie gli aveva regalato un piccolo apparecchio che serviva a dosare le sigarette in modo che non ne uscissero più di una certa quantità all’ora. Ma non sempre Lino resisteva. E i racconti dei pacchetti nascosti nella giacca per far fronte ai momenti di nervosismo si sprecano. Tutti lo sapevano e tutti chiudevano un occhio, anche la moglie che ancora oggi non sa trovargli un difetto. «Tra i tanti suoi pregi ricordo la cortesia, la simpatia, l’umiltà, la modestia. Non ricordo difetti» dice Gina.
Coniugare il futuro. Di quell’uomo per tutti eccezionale nel suo essere pieno di umanità, oltre che di intelligenza e lungimiranza, si sente il vuoto anche oggi. Lo sentono i famigliari, ma lo sente anche il territorio. «A noi che lo abbiamo amato e avuto vicino – analizza Gina – Lino ha lasciato una grande eredità di idee, passione, umanità e generosa umiltà». Alla terra dove è nato e che ha contribuito a rendere grande «ha lasciato opere e orientamenti, oltre che un’industria ancora oggi simbolo di una epoca storica di cui mio marito è stato un grande protagonista». Di uomini come Lino Zanussi ci sarebbe bisogno, della sua capacità di visione, dell’intuito e del coraggio che aveva nel fare impresa. Della passione con cui coniugava il desiderio di efficienza con quello di rendere protagonista il territorio. «Ci sarebbe una grande necessità di personaggi come lui» aggiunge Gina Pavan. Il futuro è sempre stato il tempo di Lino Zanussi ed è per quello che una morte improvvisa e così beffarda non era immaginabile, nessuno avrebbe potuto anche solo sospettarla.
Quel giorno in Spagna. Il 18 giugno del 1968 la notizia della sciagura aerea di San Sebastian venne comunicata alla moglie solo dopo diverse ore. «Ero a casa quando venni a saperlo da un amico di famiglia» ricorda la signora. Quell’amico arrivò con la sorella di Gina, Lisetta. Quella visita non insospettì la signora Zanussi. Non pensò che potesse essere accaduto qualcosa al marito, semmai per un momento pensò che potesse essere accaduto qualcosa alla figlia maggiore. Era impensabile per tutti credere a quanto avvenuto. Perché Zanussi era sempre in giro per il mondo, perché in aereo aveva volato in moltissime circostanze, perché allora aveva solo 48 anni. Troppo pochi per andarsene così.
Sull’accaduto, fin da subito, si fecero molte ipotesi, non tutti si convinsero che la tragedia aerea fosse stata effettivamente un incidente. Gli stessi famigliari, ancora oggi, non riescono a darsi pace per questo. «Ancora oggi – dice Gina - faccio fatica a credere che sia stato un incidente...». Il dubbio resta ai famigliari, come resta la certezza di chi sia stato per davvero Lino Zanussi. Per questo «vorrei che fosse ricordato – ancora Gina - come lo abbiamo visto e amato fino all’ultimo giorno della sua vita». Con quel sorriso onesto e aperto che faceva trasparire la sua generosità. Un sorriso che era sempre lo stesso. In privato come in pubblico.
Martina Milia
Il colpo di fulmine. Lino e Gina si conobbero nel 1944 «ad una festa in casa di amici – prosegue la moglie -. Mi colpì subito la sua serietà e la simpatia. Dopo un anno ci sposammo». Nell’album dei ricordi non manca quella del giorno delle nozze. Dal matrimonio sono nati Paola, Antonia e Andrea. «Era un papà ed un marito molto affettuoso, premuroso» racconta Gina e non si stenta a crederlo guardandolo nelle foto al mare con le sue due belle bambine, o abbracciato con Paola, la maggiore, o ancora mentre corre incontro ad Andrea, il più piccolo. Una famiglia alla quale Lino era legatissimo e dalla quale il destino l’ha separato troppo presto. Come presto si era divisa la sua famiglia d’origine. La mamma di Guido e Lino, Emilia, era infatti morta quando loro avevano appena 8 e 5 anni. Nei primi anni furono i nonni materni ad occuparsi dei piccoli, fino a quando il padre Antonio non si risposò e da quell’unione nacque anche un terzo fratello, Antonino. Quella dei primi due figli di Antonio Zanussi, fu un’infanzia come quella di tanti bambini dell’epoca, dove il tempo per il gioco e la spensieratezza finì presto. Non appena concluso il primo ciclo di studi – Guido a 13 e Lino a 14 – i figli di Antonio Zanussi iniziarono a lavorare. Già all’epoca il tempo del lavoro assorbiva quasi tutta la settimana, solo la domenica pomeriggio era libera per i ragazzi.
Famiglia e lavoro. «Solo la domenica pomeriggio eravamo liberi – ricordava dieci anni fa sul numero speciale di Eventi, Guido Zanussi -. Pulivamo la bicicletta e quindi si partiva per una gita con gli amici o, quando siamo stati più grandicelli, per andare a trovare qualche ragazza. Raramente si andava al cinema. Quando si poteva ed avevamo qualche ragazzina, si prendeva un palco, all’allora teatro Licinio, per starcene in pace, lontani da occhi indiscreti». L’abitudine di passare gran parte della vita al lavoro, compresi i giorni festivi, Lino non la perderà con gli anni. Le sue riunioni della domenica mattina con i dirigenti se le ricordano tutti. E in pochi avevano il coraggio di dire no. «Iniziava chiedendoti “Cosa fa questa domenica?” E se gli rispondevi che stavi a casa ti diceva “tanto vale venire a lavorare”». Di tempo per moglie e figli, quindi, non ne aveva molto, ma quando c’era la sua presenza si sentiva. In queste parentesi di relax, «faceva sport e qualche viaggio, sempre con la famiglia» aggiunge la signora Gina, mentre per gli amici il tempo era ancora meno. «Aveva amici ma i tempi dei suoi impegni gli impedivano di dedicarsi ad amicizie se non in occasione delle brevi vacanze che si concedeva». Amava soprattutto la montagna, Lino Zanussi, una passione che aveva coltivato fin da ragazzo come raccontava il fratello Guido nel numero di Eventi pubblicato dieci anni fa. «Quando fummo più grandi – spiegava Guido Zanussi dopo aver narrato delle nuotate del Meduna, contro la volontà di papà Antonio, e delle partite di pallone su prati improvvisati – ci prese la passione per la montagna. D’estate si andava in vacanza sulle nostre montagne. In un primo tempo a Claut, poi alla Pussa, in val Settimana dove nostro padre aveva costruito uno chalet in legno». D’inverno invece i fratelli Zanussi andavano a sciare. «Dapprima sulle vicine montagne – raccontava sempre Guido – poi a Cortina. Le nostre piste erano alla Bornass, che raggiungevamo in gruppo, prima in bicicletta fino a Costa di Aviano e poi a piedi, sci in spalla, sprofondando sulla neve anche fino a mezza gamba. Naturalmente di skilift neanche a parlarne e dopo ogni discesa si doveva risalire il pendio a piedi».
Il segreto della Ferrari. La passione per la montagna non era la sola. C’era quella per le automobili, cara a tutti gli Zanussi. Lino aveva comprato una delle prime Ferrari ma quando andava al lavoro la parcheggiava lontano dal capannone. I suoi collaboratori di allora raccontano che lo faceva per pudore, non voleva che gli operai pensassero che si arricchisse alle loro spalle. «Era quasi un gesto di rispetto, come per dire che in fondo era comunque uno di loro» raccontano. Anche questo faceva di Lino Zanussi un uomo eccezionale.
Il rapporto con i fratelli. «Aveva un grande rispetto anche del fratello maggiore – raccontano i suoi collaboratori -. Nonostante fosse lui la mente e l’anima della fabbrica, iniziava sempre un discorso con “Mio fratello Guido ed io...”». Un fratello al quale era molto legato nonostante le profonde differenze di carattere. «Una sera Guido, che si divertiva sempre a fare scherzi al fratello, andò in magazzino e chiese all’addetto del reparto un televisore. Questo naturalmente fece storie perché c’era la bolla d’accompagnamento, una procedura da rispettare. Ma di fronte alle insistenze del signor Guido non poté certo dire no. La mattina Guido andò dal fratello e gli disse. “Lino ma sei davvero sicuro che in questa fabbrica sia tutto sotto controllo?”. “Certo” rispose l’altro. E Guido: “Mi sa che ti sbagli perché ieri sera ti ho portato via un televisore e non te ne sei neanche accorto”». Ma al di là di questi episodi quasi goliardici, l’affetto tra i fratelli era profondo. Lo dimostra anche il fatto che Guido – come racconta la signora Gina ad Eventi – aveva messo gli occhi per primo sulla villa di Ronche che diventò poi casa di Lino e famiglia. Vedendo che al fratello e alla moglie quella casa piaceva molto, Guido decise di lasciarla a loro. E ben presto la villa, con il suo parco, divenne il rifugio di Lino Zanussi, il luogo in cui trascorreva le poche ore di riposo lontano dal lavoro.
Sogni e progetti. La fabbrica rimaneva comunque la sua vita, la sua fonte di ispirazione, e per far crescere il suo sogno si circondò di uomini che, oltre che essere collaboratori, diventavano amici, persone a cui dava piena fiducia. Aveva un dono speciale nel capire le persone, come conferma la moglie «e lo si capisce da quanto è riuscito a costruire e influenzare a livello nazionale e internazionale nell’ambito dei suoi progetti». Progetti che aveva anche per il suo territorio ma che gli furono strappati insieme alla vita. «Quando è morto aveva ancora tanti progetti, molti dei quali – racconta la signora Gina - riguardavano anche Pordenone. Amava il territorio e sognava di vederlo crescere in autonomia con prospettive non troppo provinciali», motivo per cui «non sarebbe mai andato a vivere da un’altra parte – dice la signora Zanussi - amava troppo la sua terra e la sua gente». Questa terra la aiutò sempre, non ultimo per farla emancipare, per dare un’autonomia provinciale a un’identità che esisteva anche grazie allo sviluppo del suo progetto industriale. «In quel tempo gli udinesi non amavano i pordenonesi ma rispettavano ed ammiravano mio marito – ricorda Gina Zanussi - come personalità eccezionale. Fu anche questo che aiutò la nascita della Provincia».
Simbolo di pordenonesità. La pordenonesità Zanussi la mostrava sempre e ovunque, orgoglioso dei suoi valori, e forse anche di certi limiti. Lo spiega bene un articolo del Corriere della sera, a firma Gianfranco Piazzesi, pubblicato il 14 ottobre 1964. «Zanussi – recita il testo – non si trova a capo di un complesso industriale, ma di un’arcadia della produttività. Non fa testo. Il suo sodo ottimismo non può essere scalfito; la formula del suo successo è vaga e, a differenza delle lavatrici, difficilmente esportabile. Zanussi parla di “efficienza aziendale” e non aggiunge una parola in più. Se il nostro imprenditore si scalda un poco, è quando accenna alla sua città, o meglio a una “natura pordenonese” in cui sarebbero esaltate tutte le doti della gente friulana. In questa cittadina, dove ormai si ha una automobile ogni sei abitanti e dove i televisori sono, fatti in casa, i più pretenziosi tributi alla civiltà dei consumi ci parvero alcuni edifici di appartamenti in condominio, che arieggiavano al grattacielo e un negozio di antiquariato».
Vizi e virtù. «Ma resta vero – prosegue il Corriere – che i pordenonesi non hanno fatto pazzie. Zanussi in testa, dopo il lavoro tutti se ne vanno a casa; Zanussi in testa, poco concedono alle tentazioni che dovunque assillano il nuovo ricco. Tutto quel che si guadagna si reinveste; fabbrica, famiglia, produttività, nessuno sgarra». E lui non sgarrava mai. Anche se un piccolo vizio ce l’aveva ed era quello del fumo. La moglie gli aveva regalato un piccolo apparecchio che serviva a dosare le sigarette in modo che non ne uscissero più di una certa quantità all’ora. Ma non sempre Lino resisteva. E i racconti dei pacchetti nascosti nella giacca per far fronte ai momenti di nervosismo si sprecano. Tutti lo sapevano e tutti chiudevano un occhio, anche la moglie che ancora oggi non sa trovargli un difetto. «Tra i tanti suoi pregi ricordo la cortesia, la simpatia, l’umiltà, la modestia. Non ricordo difetti» dice Gina.
Coniugare il futuro. Di quell’uomo per tutti eccezionale nel suo essere pieno di umanità, oltre che di intelligenza e lungimiranza, si sente il vuoto anche oggi. Lo sentono i famigliari, ma lo sente anche il territorio. «A noi che lo abbiamo amato e avuto vicino – analizza Gina – Lino ha lasciato una grande eredità di idee, passione, umanità e generosa umiltà». Alla terra dove è nato e che ha contribuito a rendere grande «ha lasciato opere e orientamenti, oltre che un’industria ancora oggi simbolo di una epoca storica di cui mio marito è stato un grande protagonista». Di uomini come Lino Zanussi ci sarebbe bisogno, della sua capacità di visione, dell’intuito e del coraggio che aveva nel fare impresa. Della passione con cui coniugava il desiderio di efficienza con quello di rendere protagonista il territorio. «Ci sarebbe una grande necessità di personaggi come lui» aggiunge Gina Pavan. Il futuro è sempre stato il tempo di Lino Zanussi ed è per quello che una morte improvvisa e così beffarda non era immaginabile, nessuno avrebbe potuto anche solo sospettarla.
Quel giorno in Spagna. Il 18 giugno del 1968 la notizia della sciagura aerea di San Sebastian venne comunicata alla moglie solo dopo diverse ore. «Ero a casa quando venni a saperlo da un amico di famiglia» ricorda la signora. Quell’amico arrivò con la sorella di Gina, Lisetta. Quella visita non insospettì la signora Zanussi. Non pensò che potesse essere accaduto qualcosa al marito, semmai per un momento pensò che potesse essere accaduto qualcosa alla figlia maggiore. Era impensabile per tutti credere a quanto avvenuto. Perché Zanussi era sempre in giro per il mondo, perché in aereo aveva volato in moltissime circostanze, perché allora aveva solo 48 anni. Troppo pochi per andarsene così.
Sull’accaduto, fin da subito, si fecero molte ipotesi, non tutti si convinsero che la tragedia aerea fosse stata effettivamente un incidente. Gli stessi famigliari, ancora oggi, non riescono a darsi pace per questo. «Ancora oggi – dice Gina - faccio fatica a credere che sia stato un incidente...». Il dubbio resta ai famigliari, come resta la certezza di chi sia stato per davvero Lino Zanussi. Per questo «vorrei che fosse ricordato – ancora Gina - come lo abbiamo visto e amato fino all’ultimo giorno della sua vita». Con quel sorriso onesto e aperto che faceva trasparire la sua generosità. Un sorriso che era sempre lo stesso. In privato come in pubblico.
Martina Milia
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