Ponte crollato, condanne confermate
La Corte di Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda del viadotto del Chiavalir. Adesso si apre il processo civile

TRAMONTI DI SOPRA. Si è chiusa la vicenda del ponte del Chiavalir: ieri mattina, esattamente sette anni dopo il crollo del viadotto avvenuto il 15 dicembre 2005, la Corte di Cassazione ha rigettato i tre ricorsi degli altrettanti imputati appellanti. Sono state quindi confermate le condanne di primo grado e di appello a carico di Michele Artusato (avvocato Antonio Malattia), Domenico Bruno e Franco Fuscello (si tratta di uno degli ultimi atti presentati dall’avvocato Giuseppe La Spada prima della scomparsa prematura la scorsa primavera).
A questo punto i tre dovranno affrontare un lungo processo civile per i danni sostenuti dalle parti civili (l’Anas, la Provincia e i due Comuni di Tramonti di Sotto e di Sopra). Queste ultime, rappresentate dagli avvocati Luca Turrin, Michele Attanasio e Pietro Ragogna, ieri hanno ottenuto altri 2 mila euro a testa per le spese di giudizio. Turrin ha già annunciato l’avvio della causa civile per conto dell’Anas, che all’indomani del crollo dovette affrontare i nuovi oneri di progettazione e di costruzione del manufatto.
Il procuratore generale della Suprema Corte ha chiesto e ottenuto il rigetto dei ricorsi in quanto ci sarebbe in atti la prova evidente della negligenza degli imputati. Si sarebbe trattato di un’imperizia tale da sfociare nel dolo eventuale, visto che le prove di collaudo non sarebbero neppure dovute cominciare. Ma così non fu e il viadotto ripiegò su se stesso, trascinando nel sottostante greto del torrente Vielia un camionista e tre camion di ghiaia. In primo grado il tribunale di Pordenone, nell’aprile 2009 (giudice Monica Biasutti), aveva condannato a otto mesi di reclusione il capocantiere Franco Fuscello, a un anno l’ingegner Michele Artusato, a un anno e quattro mesi il costruttore Domenico Bruno e a un anno il collaudatore Virgilio Ciriani.
«E’ sufficiente esaminare le foto in atti per rendersi conto che non si è trattato di un disastro solamente nel senso “popolare” del termine – si legge nei motivi del provvedimento di conferma emesso un anno fa dalla corte di appello di Trieste –. E’ frutto di straordinaria buona sorte se nessuno dei camionisti è morto e se i pezzi del ponte collassato non hanno colpito alcuno dei presenti o i veicoli circolanti lungo la strada statale e il ponte attiguo, sul quale il traffico non è mai stato interdetto. Pare frutto di facile ironia sostenere, come fanno le difese, che gli unici che avrebbero potuto subire un danno sarebbero stati i pesci del sottostante torrente».
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