QBell, crescono le preoccupazioni
Dopo l’indagine della Gdf la situazione appare sempre più fosca
REMANZACCO. Della bufera che sta investendo QBell technology spa e il suo amministratore delegato, Giuliano Macripò, finiti nel mirino della Guardia di finanza per false fatturazioni, non sanno cosa pensare i lavoratori dell’azienda di Remanzacco. In attesa di vedersi liquidare chi due, chi tre mensilità di stipendio, le maestranze a chiamata, una cinquantina in tutto, temono i risvolti dell’ennesimo colpo di scena.
L’attesa è tutta per il verdetto del Tribunale di Udine che il 18 novembre dovrebbe esprimersi in ordine alla richiesta avanzata dall’azienda di essere ammessa al concordato preventivo. Se respinta, per QBell significherà il fallimento, ipotesi a sentire il sindacato tutt’altro che remota. «Nel caso l’epilogo dovesse esser questo – afferma Francesco Barbaro di Fim Cisl Udine – si tradurrà in un immediato stop della cassa integrazione straordinaria per i 17 lavoratori a tempo indeterminato, che oggi sono in attesa del via libera del ministero».
Diversa la situazione dei 50 a chiamata che non hanno “nulla da perdere” e in caso di fallimento potranno tentare di recuperare una parte degli stipendi mai ricevuti. Alla parabola discendente di Qbell questi hanno assistito in un clima di sconforto crescente, come ieri ci ha raccontato un’ex lavoratrice. A partire dalla scorsa primavera, quando l’impresa d’improvviso si era trovata senza liquidi ed aveva dovuto interrompere la produzione, precipitando da un fatturato di milioni ad appena 37 mila euro. Passando per la recente deriva dell’operazione “ex Miroglio”, lo stabilimento pugliese che Qbell si era impegnata ad acquisire e riconvertire, forte di capitali stranieri che alla fine non sono arrivati. Per finire con l’indagine della Procura, oggi impegnata a passare al setaccio documenti per 60 milioni di euro.
Maura Delle Case
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