De Falco: «Non chiamatemi eroe, ho soltanto fatto il mio dovere»
in cattedra nella sede universitaria di Palazzo Antonini il capitano di fregata “eroe positivo” del caso Costa Concordia in contrapposizione con la figura del comandante Schettino

UDINE. Un uomo di mare che ha fatto soltanto il proprio dovere. Un professionista che ha sempre messo al primo posto il rispetto delle regole, il senso di responsabilità. Non ama l’etichetta di “eroe” il capitano di fregata Gregorio De Falco e lo ha ribadito anche i salendo in cattedra nella sede universitaria di Palazzo Antonini per una conferenza frutto dell’impegno organizzativo dall’associazione culturale Sicilia-Fvg, presieduta da Maurizio Calderari, e da Vincenzo Orioles, docente di glottologia e linguistica del Dipartimento di studi umanistici.
Un incontro andato in scena in una sala Gusmani gremita di pubblico, a testimonianza dalla traccia profonda tuttora impresa nell’immaginario collettivo da De Falco, l’ “eroe positivo” in contrapposizione con la figura del comandante della Costa Concordia Francesco Schettino, accusato di essere il principale responsabile del naufragio costato la vita a 32 persone davanti all’Isola del Giglio dopo l’urto seguito alla manovra dell’ “inchino”. «Eroe è colui che va oltre il limite della razionalità fino a rischiare la vita – ha premesso De Falco –. Un vero eroe è stato Giuseppe Girolamo, il musicista siciliano che si trovava sulla nave e che non sapeva nuotare eppure lasciò il proprio posto sulla scialuppa di salvataggio a una bimba (Girolamo poi morì nel naufragio ndr).
De Falco a Udine: non sono un eroe, ho fatto il mio lavoro
Io e altri colleghi cercavamo semplicemente di compiere il nostro dovere e di fare in modo che anche il comandante facesse il proprio, tornando a bordo della nave: era fondamentale avere sulla Concordia un referente per le operazioni di soccorso che avesse l’autorità per svolgere quel ruolo, a cominciare dalla conta dei passeggeri».
All’inizio della conferenza è stato fatto riascoltare al pubblico il dialogo De Falco-Schettino che grazie alle registrazioni diffuse dai mezzi di informazione fece il giro del mondo ed è entrato a pieno titolo nella storia dell’Italia contemporanea. Il 13 gennaio 2012, l’allora capo della sezione operativa della Capitaneria di Livorno, nel coordinare le operazioni di soccorso, incalzò di domande il titubante interlocutore e intimò più volte con tono perentorio al comandante, nel frattempo sceso su una scialuppa, di tornare sulla nave fino a sbottare nel celebre: «Vada a bordo, cazzo!».
«Ogni volta che ascolto questa terribile telefonata penso che se ognuno avesse corrisposto alle aspettative connesse al proprio ruolo forse saremmo riusciti a salvare tutti – ha spiegato De Falco –. Non penso di aver assunto un tono prepotente. Quella era la terza e ultima esortazione. Lui aveva inopinatamente abbandonato il proprio ruolo e io gli ho ordinato di tornare a bordo. Ricordo che per il suo comportamento è stato sanzionato anche dal punto di vista disciplinare. Io non sono un psicologo ma parlando con Schettino avevo come la percezione che stesse pensando ad altro. Insomma, bisognava svegliarlo e richiamarlo al suo dovere.
Bisogna anche considerare le difficoltà che avevamo nel capire quello che stava succedendo: eravamo stati attivati dai carabinieri di Prato ai quali era arrivata una telefonata nella quale si segnalava che a bordo c’era un black out, che erano cadute delle suppellettili e questo ci aveva preoccupato molto perchè voleva dire che la nave si stava inclinando. Poi mandammo i soccorritori che furono calati a bordo con i verricelli».
Orioles, nell’introdurre l’incontro assieme al rettore Alberto Felice De Toni e al delegato alla cultura Angelo Vianello, ha rimarcato l’apprezzamento della società civile e della comunità universitaria udinesi «verso una figura che ha riscattato non solo il decoro della marineria italiana ma anche l’immagine del nostro Paese. De Falco è stato il catalizzatore positivo dell’ “altra Italia”, quella degli “eroi per caso”, delle eccellenze che si impegnano quotidianamente al servizio delle istituzioni». Dal canto suo De Falco ha affermato di «aver trovato qui a Udine un calore straordinario tra la gente: mi avete accolto come se fossi uno di casa».
De Falco ha parlato anche della vicenda del suo “declassamento” lavorativo. In autunno è stato rimosso, suo malgrado, dal settore operativo della capitaneria di porto finendo dietro una scrivania, nell’ufficio studi. “Retrocessione” che ha suscitato perplessità a livello nazionale e ha acceso le polemiche: «L’11 febbraio il caso approderà al Tar. I giudici valuteranno la mia situazione – ha spiegato –. Sono stato trasferito a fare il capoufficio, un ruolo non congruo rispetto alle mansioni operative che ho sempre svolto». Paradossi e storture di un paese dove non sempre chi compie il proprio dovere viene premiato.
De Falco ha poi fatto riferimento alla tristemente famosa manovra dell’ “inchino”: «I casi di manovre del genere sono rari tanto che non esiste una definizione tecnica specifica. Ha a che fare con il gergo aeronautico in cui l’ “inchino” è una sorta di “saluto” che rappresenta una prova di bravura del pilota. Ma il codice prevede che il comandante non debba mai perdere il controllo della nave».
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