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Velo a scuola, si o no? Parlano le islamiche

Dopo la circolare del preside e la polemica, le testimonianze delle donne «In Marocco non lo usavo, ma in Italia ho cominciato a indossarlo»

3 minuti di lettura

CERVIGNANO. Obbligo o libera scelta? Simbolo di un’identità in crisi oppure soltanto frutto di un amore incondizionato nei confronti del creatore? Il velo islamico resta un argomento di discussione particolarmente complesso. Le posizioni sono differenti e difficilmente conciliabili. Ieri mattina, al liceo scientifico Einstein di Cervignano, controllato a vista da un imponente dispiegamento di forze dell’ordine, è stato organizzato il convegno “Il velo islamico. Modelli culturali a confronto: pluralismo e assimilazionismo”.

L’aula magna dell’istituto superiore cittadino è riuscita a fatica a contenere tutti i presenti, studenti ma anche cittadini e rappresentanti delle associazioni cervignanesi. Alcune donne di fede musulmana hanno raccontato la loro esperienza diretta. C’è chi ha parlato di libera scelta, consapevole e ponderata, e chi, residente a Udine, ha raccontato di essersi sentita obbligata a non indossare il velo islamico per il timore di non essere accettata.

Majda Badaoui, mediatrice culturale originaria del Marocco, risiede in Fvg. «In Marocco frequentavo il liceo scientifico – la sua testimonianza -. Quando sono arrivata in Italia non portavo il velo, ero molto contraria. Per me era simbolo di una costrizione da parte dell’uomo. Questa visione era dettata dal fatto che in Marocco, a scuola, non si dava molta importanza allo studio della religione islamica. Una volta arrivata in Italia ho iniziato a frequentare l’Università. Non di rado mi veniva chiesto quale fosse la mia religione. Ho iniziato a riflettere sull’argomento e a cercare di conoscere meglio l’Islam. Ho compreso che Islam significa sottomissione non all’uomo ma a Dio e Dio è amore e misericordia. Ho deciso di fare una scelta di vita, ho capito che la religione islamica va compresa bene prima di criticare o dare giudizi. Ho scelto liberamente di indossare il velo. È un atto di culto, un atto di amore nei confronti del nostro creatore.

Maria, nella religione cristiana, porta il velo e l’abito lungo. C’è un capitolo del Corano in cui si dice che Maria ha scelto di mettersi il velo. Anche le suore lo indossano. L’Islam, lo ribadisco, non è costrizione. Nessuno costringe le donne islamiche a indossare il velo. Coprire il corpo significa avere rispetto per le donne e per noi stesse. La donna non deve essere vista come un oggetto ma essere apprezzata per la sua interiorità. Questo non vuol dire che io non rispetti chi porta il bikini o la minigonna. Ognuno di noi deve essere lasciato libero di scegliere. Se ci obbligano a togliere il velo ci tolgono la libertà».

La nipote di Majda, Fatima, ha frequentato il Malignani di Udine. In classe era l’unica ragazza. «In cinque anni non ho mai avuto problemi – racconta -. All’inizio percepivo un certo disagio, una comprensibile curiosità nei miei confronti da parte dei miei compagni di classe. Il velo non è un simbolo, è il mio modo di essere. Questo è stato compreso. Ho parlato in varie classi della religione islamica e della donna musulmana. È servito. I miei compagni volevano conoscere e comprendere. Nessuno mi ha mai costretta a indossare il velo, è stata una mia libera scelta».

Besjana, invece, ha fatto il percorso inverso. Si è sentita costretta a vivere senza il velo. «Avrei voluto indossarlo – confessa –. Ho dovuto toglierlo per poter lavorare, per sentirmi davvero integrata in Italia. Sul posto di lavoro sono costretta a praticare il Ramadan di nascosto, così come altre mie colleghe, perché il mio “capo” non vuole. Il timore è che ci sia, mangiando meno, un deficit nel rendimento. A mio avviso ci dovrebbe essere più rispetto da entrambe le parti».

Ricco di spunti l’intervento di Khaled Fouad Allam, docente di sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste e autore del saggio “Il Jihadista della porta accanto”. «Il velo – sostiene Allam - assume oggi il significato di un’identità in crisi: oltre a esprimere un malessere generalizzato nelle società islamiche, esso occulta il loro cambiamento e ne esacerba le paure. Chi lo indossa, soprattutto in occidente, lo fa per coercizione, per condizionamento, per rivendicazione o per libera scelta. Le letture possibili sono molte, ma tutte rimandano a una serie di conflitti irrisolti: il conflitto fra islam e occidente, il conflitto dell’islam con se stesso, il conflitto fra diritto e cultura. La scelta del preside, Aldo Durì, è stata coraggiosa».

Diversa la posizione di Mohammed Hassani, referente dei giovani del Psm Italia (Partecipazione e spiritualità musulmana), sezione Friuli Venezia Giulia. «Le donne musulmane – le sue parole - portano il velo perché è un’opera di culto, non un simbolo. Il corpo della donna deve essere protetto, secondo l’Islam. Dobbiamo favorire la multiculturalità tramite l’accettazione dell’altro».

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