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Morì per l’amianto, 633 mila euro di risarcimento alla famiglia

Giovanni Zeleznik aveva lavorato sempre in Fincantieri. Il giudice: l’azienda non fece niente per ridurre l’inalazione

2 minuti di lettura

UDINE. Giovanni Zeleznik aveva lavorato per tutta la vita allo stabilimento Fincantieri di Monfalcone. Aveva cominciato nel 1964, a soli 18 anni, e ne era uscito nel 2000, da pensionato. Finalmente libero – così aveva pensato – di dedicarsi alla famiglia e alla politica, le sue passioni.

E invece, sei anni dopo erano comparsi i primi sintomi della malattia. Il mesotelioma pleurico subdolamente insinuatosi nei suoi polmoni a furia di respirare amianto, nelle migliaia di ore trascorse in officina e sulle navi, e rimasto latente per decenni, era esploso come dinamite. E il 13 gennaio del 2008, dopo due anni di calvario, se l’era portato via. Quel giorno, a Remanzacco, dove viveva dal 1981 e dove si era fatto un nome come candidato sindaco del centrodestra e poi capogruppo di minoranza in Consiglio comunale, a piangerlo erano davvero in tanti. Nino, come in paese lo chiamavano, aveva soltanto 61 anni.

La storia di Zeleznik è tragicamente simile a quella delle centinaia di altri cantierini morti per le inalazioni di fibre di asbesto. Per colpa di Fincantieri, quindi, che nulla o pochissimo fece per tutelare i propri lavoratori. Ora, anche per la sua famiglia la giustizia ha decretato giunto il momento di riscuotere la propria parte di risarcimento. E lo ha fatto con sentenza emessa dal giudice del lavoro di Gorizia, Barbara Gallo, proprio nel giorno della Festa del papà: i danni quantificati a favore della vedova Elisea Marinig e dei loro due figli Roberto e Raffaella, come diritto ereditario e proprio, sono stati quantificati in complessivi 633 mila euro.

Chiusa nel giro di tre anni, e cioè in tempi relativamente rapidi, la causa era stata promossa dagli avvocati Giovanni Adami e Sabrina Colle. A certificare la gravità del caso è stato lo stesso consulente medico d’ufficio, Damiano Donadello. «In Fincantieri – scrive il giudice nella sentenza –, Zeleznik ha subìto un’esposizione all’amianto tutt’altro che trascurabile dal punto di vista quantitativo, perlomeno nei primi 12 anni e mezzo di lavoro, visto che la prima diagnosi del mesotelioma risale al novembre 2006, ossia a 30 anni dal 1976. Il che costituisce un tempo di latenza assolutamente compatibile tra l’inalazione e l’insorgenza della patologia». Il medico legale aveva quantificato la misura del danno biologico temporaneo al 100 per cento in 11 mesi, e all’80 per cento in 4 mesi, e aveva definito il grado di sofferenza del paziente «di gravissima intensità» (il più elevato della scala).

Decisive, ai fini dell’inquadramento dei fatti, anche le testimonianze raccolte dalla difesa tra i colleghi di Zeleznik. Tutti concordi, va da sè, nel confermare le condizioni di totale esposizione all’amianto in cui erano stati costretti a lavorare almeno sino alla fine degli anni Settanta. «Troppo poco – scrive ancora il giudice – sarebbe stato fatto da Fincantieri, per eliminare o almeno ridurre sensibilmente l’inalazione di polveri negli ambienti a bordo nave dello stabilimento di Monfalcone».

È lo stesso magistrato a ricordare le «minime misure precauzionali» che l’azienda avrebbe potuto e dovuto adottare, per diminuirne la concentrazione: dall’installazione di aspiratori, alla separazione dei locali e delle lavorazioni, all’imposizione ai lavoratori dell’uso di mascherine filtranti. Così non fu e questo basta e avanza a configurare a suo carico la «colpa specifica» per violazione delle norme.

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