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I lacunari di Pomponio Amalteo dormono ancora nel caveau

I capolavori realizzati intorno al 1530 sono ancora senza collocazione. Il sindaco di Gemona Urbani: «Troviamo una soluzione per quest’opera»

di Maura Delle Case
3 minuti di lettura

Non s’immagini un interno impolverato. Né lenzuola scivolate che lasciano scoperti lembi di pittura. I lacunari di Pomponio Amalteo, capolavori realizzati intorno al 1530, sono conservati in modo assai meno “scenografico”.

Custoditi in un caveau sulla cui collocazione il primo cittadino di Gemona, Paolo Urbani, raccomanda il massimo riserbo, «onde evitare spiacevoli sorprese». Le 36 tavole scampate alla furia sismica che ne distrusse irrimediabilmente 6 giacciono in fila, posate con accortezza l’una sopra l’altra, in perfetto ordine e decoro. Ottimamente restaurate. Pronte dunque per essere esposte al pubblico, restituite alla collettività, che purtroppo dovrà però attendere ancora.

La chiesa in cui trovavano originariamente collocazione, San Giovanni in Brolo, è infatti l’ultimo tassello di una ricostruzione, quella di Gemona, che si può dire del resto completa. Un tassello mancante oggi e forse per sempre, visto che ormai diversi anni fa il progetto preliminare di riedificazione della chiesa, sotto forma di auditorium, è stato messo nel cassetto per liberare risorse in favore del castello.

Scelta dolorosa, ma necessaria a sentire il sindaco Urbani che oggi, assieme ai suoi concittadini, guarda nuovamente il maniero svettare al cuore della città alta. L’incerto futuro della chiesa per anni è stato al centro di un vivace dibattito, animato da chi avrebbe voluto ricostruirla dov’era e com’era e chi invece si è rassegnato alla perdita, vista la mutata conformazione urbanistica del lembo di città che la ospitava.

I lacunari sono così rimasti lontano dagli sguardi di gemonesi, turisti e cultori d’arte. Una privazione che inizia a pesare. E che in occasione di questo sei maggio ha spinto il sindaco a rompere il silenzio per chiedere, in vista del 40ennale del terremoto che si celebrerà nel 2016, aiuto alla Sovrintendenza. E alla Regione.

«Troviamo una soluzione per quest’opera di valore eccezionale», ha detto Urbani dopo aver richiuso le porte del caveau e riconsegnato al buio i lacunari. Fu la Confraternita di San Giovanni ad affidare al giovane Pomponio Amalteo, discepolo e genero del Pordenone, il decoro del soffitto a cassettoni con figure dell’Antico e del nuovo Testamento e della mitologia greco-romana.

L’opera, completata nel 1533, in origine copriva interamente il soffitto dell’aula, su una superficie di circa 150 metri quadrati, ed era costituita da 42 lacunari. Dipinti a tempera su tavola. Profeti e sibille, Santi e martiri, apostoli ed evangelisti facevano da corona ai due lacunari centrali raffiguranti San Giovanni e la Vergine con il bambino Gesù. «Nelle posture dinamiche e negli scorci drammatici dei vari personaggi, inseriti in cornici di fantastiche grottesche, l’Amalteo seppe riproporre con energia la lezione della nuova pittura raffaellesca appresa dal Pordenone tanto che il soffitto gemonese fu sempre ritenuto una delle più originali e belle opere del Rinascimento in Friuli», scriveva nel 2004 lo storico gemonese Mauro Vale, già presidente del Comitato per la ricostruzione della chiesa di San Giovanni in Brolo.

Nemmeno il sodalizio è riuscito nell’intento, pur essendosi speso non poco in anni recenti per la riedificazione dell’edificio, ritenuta essenziale al fine di ricollocare i lacunari. A un anno dall’approvazione del progetto preliminare, nel 2005 l’allora amministrazione comunale fece dietrofront.

Decise di non dar corpo alla ricostruzione e chiese, correva il 2006, la devoluzione dei fondi destinati al San Giovanni per il ripristino del castello immaginando per i lacunari un’esposizione temporanea al museo civico di Palazzo Elti.

Soluzione bocciata dalla giunta seguente, guidata da Urbani, allora al suo primo mandato, che preferì cercare una collocazione definitiva a palazzo Scarpa, immobile che il Comune era in predicato d’acquistare ma che invece la proprietà (il gruppo Stefanel) ha recentemente deciso di destinare a uso commerciale mandando così in fumo due progetti in uno: palazzo Scarpa, nei desiderata del Comune, avrebbe dovuto infatti ospitare gli uffici municipali e i lacunari, il cui futuro torna così ad essere oggi più incerto che mai.

Dinnanzi al rischio di veder passare ancora anni prima di risolvere il “caso”, ieri Urbani ha deciso di rompere il silenzio rivolgendosi alla Soprintendenza. E alla Regione. «Dobbiamo decidere di comune accordo se dar corpo a un’impegnativa ricostruzione della chiesa e sistemazione delle vie di accesso, i cui costi potrebbero però sfiorare i 3 milioni di euro, oppure trovare un sito alternativo per la collocazione delle 36 tavole come la chiesa di Fossale – ha dichiarato il sindaco –. Il soffitto appare ideale per la sua altezza, meno per le dimensioni che non consentirebbero di ospitare per intero l’opera dell’Amalteo, ma ricordo che a seguito di un incendio in epoca rinascimentale, già una volta il soffitto venne ripensato. Non vedrei quindi l’ipotesi di una collocazione leggermente modificata come un insormontabile ostacolo».

«Faccio dunque appello alla presidente Serracchiani e alla giunta perché ci aiutino – ha concluso – a restituire alla pubblica fruizione queste opere che sono certo costituiranno un volano ulteriore per il turismo dell’intero gemonese”.

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