Il papà di Trifone attonito: «Mangiava e dormiva qui»
Francesco Ragone: «Mio figlio non ha mai riferito in famiglia di problemi con lui». Al funerale dell’amico ha portato il feretro. Il fratello Gianni: «Grande dispiacere»
di Ilaria Purassanta
PORDENONE. «Con noi ha mangiato e dormito, a casa nostra. Ha portato la bara di mio figlio al funerale ad Adelfia. Era nel picchetto d’onore. Il terzo della fila, alla sinistra del feretro».
Ancora non si capacita Francesco Ragone, papà di Trifone, il sottufficiale del 132esimo reggimento carristi barbaramente trucidato il 17 marzo con la sua fidanzata Teresa, che nel registro degli indagati per l’omicidio dei due fidanzati possa essere finito proprio l’amico e coinquilino del figlio Giosué Ruotolo.
Nelle immagini del corteo funebre si vede il giovane caporale di Somma Vesuviana, a capo chino, nel picchetto d’onore che accompagna il feretro al cimitero di Adelfia, fra due ali di folla, dietro la famiglia in mesta processione. All’hotel in cui i familiari delel due vittime si erano raccolti, a Pordenone, Ruotolo si è presentato a porgere le condoglianze.
«Era anche all’obitorio di Pordenone», appunta mentalmente Francesco Ragone, alla cerimonia funebre dedicata a Teresa e Trifone, prima che i due feretri si separassero per sempre, l’una diretta a Zelo di Buon Persico, l’altro ad Adelfia, in provincia di Bari.
Tanti momenti in cui Giosué è stato vicino alla famiglia. Una sequenza che cozza d’improvviso con l’iscrizione nel registro degli indagati. Il 26enne campano era di casa, era considerato uno di famiglia. «Erano sempre insieme, giocavano insieme alla play – ricorda ancora il papà di Trifone –, hanno passato tutti e due il concorso per entrare nella Guardia di finanza. Erano in graduatoria.
Non riusciamo proprio a capire cosa possa essere successo, sempre che venga appurato che sia stato lui. Sinceramente mio figlio non ci ha mai raccontato di avere avuto qualche problema con lui. Non uno screzio o un alterco che noi ricordiamo. Anzi, quando viveva in via Colombo con i suoi tre commilitoni, era un periodo tranquillissimo della sua esistenza. Trifone era sereno».

Alla caserma Carli di Cordenons «tutti amavano Trifone». Per lui i commilitoni spendono parole di ammirazione e stima. «Il suo comportamento era ineccepibile – raccontano dietro il muro di cinta della caserma Carli – era amato da tutti per la sua socievolezza».
Ma quando il discorso si sposta su Giosuè, i volti si fanno scuri e le bocche silenti. Tagliano corto ancora prima di rispondere. Il fratello di Trifone Gianni Ragone sottolinea il suo profondo dispiacere, rimarcando di non aver mai nemmeno pensato frasi come «Meglio che scappi, altrimenti lo ammazziamo», riferite all’indagato.
«Per loro – aggiunge l’avvocato Nicodemo Gentile, che assiste Gianni Ragone – la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati è stata una bomba scoppiata nel cuore e in testa. Bisogna vedere se questa ipotesi iniziale avrà un seguito e un riscontro. Ma è difficile immaginare cosa abbia provocato una reazione così sproporzionata e distruttiva».
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