«Per sconfiggere le mafie scuola, lavoro e denunce»
Don Luigi Ciotti a tutto campo al convegno al Centro Balducci

POZZUOLO. Deriva culturale, disoccupazione, opportunismo politico, esclusione razziale. Ecco, è su questo terreno, ventre molle di una società sempre più povera di ideali e di valori morali, che la mafia affonda i propri artigli.
Ed è a quella stessa società che don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione “Libera contro le mafie” e fondatore del “Gruppo Abele”, si rivolge a ogni nuova buona occasione, per invocare «coraggio, impegno e partecipazione».
L’ennesimo accorato appello è arrivato ieri, dal palco del Centro di accoglienza e di promozione culturale “Balducci” di Zugliano, dove il “prete di strada” ha chiuso la quattro giorni del Convegno - il numero 23, per don Pierluigi Di Piazza e il suo staff - organizzato per celebrare i primi vent’anni di attività di Libera.
Ad ascoltarlo, con i volti rapiti e il cuore colmo di speranza, gente di ogni età dentro e anche fuori dal centro, sotto il tendone con maxi-schermo allestito nel cortile.
Il bisogno di una svolta
È don Ciotti, con la sua consueta schiettezza, a dare dell’Italia, o di buona parte di essa, una descrizione impietosa. Ma anche a indicare i suoi punti di forza e a suggerire le vie d’uscita.
«In quest’ultimo periodo, l’impoverimento culturale si è molto accentuato – ha detto, puntando subito al cuore del problema –. Una società che non si cura dei giovani e non investe sulla scuola e che non vede nel lavoro il veicolo della propria identità è una società che non si cura della propria storia, del presente e dell’avvenire. Questi nostri ragazzi – continua – sono meravigliosi, quando trovano punti di riferimento. Ma quello che vedo adesso è uno smarrimento impressionante. Milioni di persone ripiegate sui propri egoismi e sulle paure».
La risposta, allora, non può che venire da «una sfida culturale» e dal «coraggio della denuncia, purchè seriamente documentata».
Le bugie della politica
Il giorno prima di arrivare in Friuli, dal Balducci don Ciotti ha ricevuto la foto del campanile con i colori della pace e il marchio di Libera.
«Ve lo confesso – ha raccontato al pubblico –: quando l’ho visto, ho pensato alla Sindone. Un accostamento strano, è vero, ma non così tanto. Perchè ciò che conta è guardare attraverso quel lenzuolo: esaminare noi stessi in profondità e non restare indifferenti di fronte alle sofferenze umane».
Tante, troppe quelle ricordate dal presidente di Libera: dalle guerre nel mondo, comprese quelle «combattute con armi che non uccidono direttamente», all’indigenza e al dramma dell’emigrazione.
«In Italia, abbiamo tanti “morti viventi” – ha affermato don Ciotti, preparandosi a una nuova “stoccata” –. Vi siete accorti che ad agosto sono spariti due milioni di poveri? Dove sono finiti? Ve lo dico io: “qualcuno” ha cambiato i parametri. Ma questa è una gran brutta ferita: basta con la manipolazione dei dati. Perchè i poveri sono ancora lì e noi ancora qui. Chi minimizza tutto questo – ha tuonato – si rende complice della corruzione morale e materiale del Paese. Abbiamo bisogno di una politica “alta”. Conosco diversi politici seri e onesti, ma ne ho incontrato anche tanti malati di potere».
La tragedia degli immigrati
E poi ci sono i profughi. Le centinaia di migliaia di persone che fuggono dalle guerre. «Ho parlato con i sommozzatori che hanno recuperato i corpi di 300 immigrati annegati – ha ricordato don Ciotti –. La loro più grande sofferenza è stata di dividere le mamme che stringevano ancora i loro bambini sotto il barcone. Quei morti sono il naufragio delle nostre coscienze. E quello che sta accadendo è il segno di uno spaventoso regresso etico e culturale. La speranza, allora – ha consigliato –, si chiama inclusione».
Appello all’impegno civile
Nata nel 1995, sulla scia delle stragi del 1992-93, in vent’anni Libera ha seminato e raccolto moltissimo. Riuscendo a realizzare quello che Lorenzo Frigerio, coordinatore nazionale di Libera informazione, ha definito un «percorso di rigenerazione delle coscienze».
Fatti e non soltanto parole, insomma. «Libera non è mai stata solidarietà di circostanza – ha ribadito don Luigi Ciotti –, non una semplice deposizione di corone e neppure la retorica della memoria, bensì impegno e coerenza». Ma il lavoro non è affatto finito.
«In una società come quella in cui stiamo vivendo – ha detto ancora il sacerdote di Pieve di Cadore –, le mafie si alimentano di tutto questo. E allora, vi prego, non cedete alla rassegnazione e non indugiate nell’indignazione, ma, per quanto difficile sia, sentitevi responsabili e non dimenticate mai tutte le persone che hanno pagato con la vita la propria coerenza».
La mina delle agromafie
Nelle prime file siedono anche il questore Claudio Cracovia, l’assessore comunale Federico Pirone, il sindaco di Pozzuolo, Nicola Turello, e l’assessore regionale al Lavoro, Loredana Panariti (che in serata, attraverso una nota, ha rinnovato l’impegno della Regione in uno «sforzo collettivo» a favore della scuola, del lavoro e dell’immigrazione).
È soprattutto a loro, in quanto istituzioni, ma anche alla folla che ha continuato a tenere gli occhi incollati al palco, che don Ciotti indirizza il suo ultimo monito. Parla di agromafie e dei rischi per la sicurezza alimentare.
Glielo hanno raccontato i veterinari: «A Palermo vengono sistematicamente minacciati – dice –: devono far finta di non vedere i problemi delle mucche». L’inchiesta sulle “vacche sacre” è ancora in corso, ma il messaggio è chiaro e vale a tutte le latitudini del Paese.
«Anche se non li abbiamo invitati – ha concluso il presidente di Libera –, rischiamo di cenare a casa nostra con i boss della mafia».
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