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Il coraggio di Mario Cordaro, lo Schindler del lager di Gonars

Una mostra e un libro riscoprono la storia esemplare del medico che aiutò i prigionieri. Il nipote Emanuele: «Arrivò al campo come traduttore e finí per curare gli internati»

2 minuti di lettura

UDINE. «Gli avevo comprato il gesso è cosí riuscí a modellare dei bellissimi busti. (…) Oltre a Pirnat aiutai molti altri pittori e caricaturisti, comprando loro carta e pennelli e anche di loro ho numerosi ricordi. Cosí la vita al campo trascorreva quietamente senza troppi problemi e senza risentire i gravi disagi delle guerre».

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Queste poche righe tratte dal diario del dottor Mario Cordaro fotografano uno dei periodi vissuti da lui e dagli internati nel campo di concentramento di Gonars tra il 1942 e il 1943.

Un luogo dove Cordaro arrivò quasi per sbaglio come traduttore dal russo e dove finí per fare il medico salvando le vite di molti e non solo grazie alle sue conoscenze di medicina.

Fu lui, infatti, ad acquistare il materiale per permettere ad alcuni artisti sloveni, tra cui il noto Nikolaj Pirnat, prigionieri all’interno del campo friulano, di dipingere e disegnare.

«Ricordo il nonno come una figura che sapeva essere paterna, ma severa - racconta Emanuele Rampino Cordaro, nipote di Mario -; era una persona tollerante, che sapeva il fatto suo. L’esperienza di Gonars ha sicuramente influito sul suo carattere e sul suo modo di fare. Arrivava dalla docenza universitaria a Praga, e fu catapultato in un mondo che non conosceva e non si aspettava di dover frequentare, quello dell’esercito, della guerra e del campo di concentramento».

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«Era innamorato della scienza - prosegue il nipote -, dell’arte pittorica e figurativa. Trovò il modo di creare un legame con gli artisti internati, cercando di lenirne le sofferenze portando il materiale per dipingere: li avvicinava con il pretesto di farli collaborare in infermeria, e qui potevano trovare cibo e la possibilità di esprimere la propria arte, che nei disegni realizzati racconta della sofferenza dell’internamento, della mancanza di libertà, di patimenti fisici e di privazioni. Opere d’arte vere e proprie che poi gli donarono».

La situazione a Gonars, infatti, ha vissuto momenti alterni di maggiore o minore tensione e crudeltà. Verso la fine del 1942 arrivarono centinaia di persone, uomini, donne, bambini dal campo di Arbe in condizioni fisiche precarie. Cordaro chiese un aumento delle razioni di cibo, ma non fu ascoltato.

Morirono in tantissimi. Nel suo ruolo di traduttore, invece, un giorno riuscí a salvare la vita almeno a un prigioniero: dovevano essere inviati a Lubiana alcuni uomini per essere fucilati come ritorsione per un attentato, ma dovevano confessare di essere stati partigiani o comunisti.

Uno solo lo fece, ma il medico finse di non capire traducendo esattamente il contrario.

«Non era un uomo avvezzo alle problematiche di guerra e spionaggio - dice ancora Emanuele -, ma sapeva che uscire dalle regole poteva a portare problemi importanti. Faceva spesso trasferte in Slovenia per accompagnare o prelevare prigionieri, e si lasciava convincere dagli internati a portare loro notizie ai parenti in patria e viceversa. Ben sapendo che era vietato. Ha funzionato per un po’, ma poi qualcuno lo denunciò. Per fortuna grazie all’intelligenza degli ufficiali tutto venne messo a tacere».

«Al termine della guerra - racconta Emanuele, che fa il medico a sua volta come il resto della famiglia -, rimase in Friuli, dove lo raggiunse mia nonna. Poi nacque mia madre, Dagmar Maria, e lui continuò la propria esperienza professionale a Cividale. Nel 1973 fondò a Udine l’istituto diagnostico Friuli Coram, di cui oggi mia mamma è direttore sanitario. Non dimenticò mai le sue origini siciliane (nacque a Giardini Naxos nel 1910), ma qui in Friuli è rimasto sempre volentieri. Era un uomo pacato e riflessivo, parlava della sua esperienza a Gonars in termini sereni, dicendoci: “Imparate, ricordate…”. E dimenticare è l’errore peggiore che mai potremmo fare».

Mario Cordaro rimase in contatto con alcuni degli artisti che aiutò, mantenendo un legame particolare anche dopo la guerra con Pirnat.

L’artista realizzò il suo busto in gesso, la cui riproduzione si trova alla Friuli Coram, mentre l’originale è al Museo di Storia di Lubiana. Tra i suoi amici, anche alcuni storici sloveni, riconoscenti con lui per la sua attività di solidarietà nei confronti del loro popolo.

Le opere della collezione Cordaro sono in esposizione a San Vito al Tagliamento fino al 14 febbraio nella chiesa di San Lorenzo all’interno della mostra “Oltre il filo”, curata da Paola Bristot.

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