Buco milionario al Monte dei Pegni condannati l’infermiera e l’ex marito
Tre anni a Giovanna Di Rosa, due a Giuseppe Mingolla che dovranno restituire alla banca 250 mila euro La prossima settimana l’udienza dell’ex responsabile del servizio, accusata di aver sottratto sei milioni
Tre anni all’infermiera trevigiana Giovanna Di Rosa e due al suo ex marito, l’informatore scientifico di Treviso Giuseppe Mingolla. Sono le prime condanne per il buco milionario al Monte dei Pegni della Cassa risparmio del Fvg. Gli ex coniugi sono accusati di appropriazione indebita per aver intascato 2 milioni e mezzo di euro degli oltre 6 spariti dalle casse dell’istituto per mano dell’allora responsabile del Monte dei Pegni Michela Ottonello, l’udinese di 48 anni a sua volta accusata di appropriazione indebita, che ha scelto il rito abbreviato e sarà giudicata la prossima settimana.
Ieri il giudice monocratico del tribunale di Udine Angelica Di Silvestre ha di fatto accolto le richieste del pubblico ministero, Barbara Loffredo che aveva chiesto una condanna a 4 anni e due mesi per la Di Rosa e di 3 anni e 9 mesi per Mingolla, evidenziando però che tutti i reati commessi in una data antecedente al 18 agosto del 2008 sono da considerarsi prescritti. Non solo, l’ex marito è stato anche assolto per le accuse successive al marzo del 2010. Entrambi, oltre al pagamento di una multa rispettivamente di 1.200 e 800 euro, dovranno poi versare in solido alla banca, che si è costituita parte civile con l’avvocato Giuseppe Campeis, una provvisionale di 250 mila euro, in attesa che in sede civile venga valutata l’entità del risarcimento.
In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, gli avvocati difensori della 47enne Di Rosa, Federica Tosel e Francesco Luigi Rossi, e del 53enne Mingolla, Ezio Franz, hanno annunciato l’intenzione di ricorrere in Appello.
Stando alle verifiche incrociate della Cari Fvg e della Guardia di finanza, le prime sottrazioni di denaro risalgono al 2002. La Ottonello avrebbe effettuato prelievi periodici dalla cassa (tra i 5 mila e i 20 mila euro) e avrebbe contestualmente occultato le uscite, camuffandole con diversi escamotage. Fino al 2006, si sarebbe avvalsa di un semplice meccanismo di sopravvalutazione dei beni ricevuti in pegno dalla Di Rosa, per un totale di circa 600 mila euro. Nel solo mese di marzo del 2007, sarebbe riuscita a incamerare 1 milione 147.735 euro, mediante riscatti di polizze di pegno fittizie, stipulate in assenza di beni e utilizzando le generalità della Di Rosa, di suoi familiari e di ignari clienti. Da allora e fino al 2012 - quando fu smascherata, denunciata e sospesa -, in virtù di una finta scrittura contabile in grado di aumentare i crediti della banca verso i clienti e diminuire il conto cassa del Monte pegni, si sarebbe appropriata di 1 milione 173.580 euro nel 2007, 1 milione 699.299 nel 2008, 668.518 nel 2009, 493.405 nel 2010 e 552.415 tra il 2011 e il 2012. Tutto questo senza che nessuno si sia mai accorto di nulla. Di quel “tesoretto”, 2,5 milioni sarebbero finiti dritti nelle mani della Di Rosa. Cioè dell'ostetrica di Treviso che la Ottonello, fin dai primi interrogatori, aveva indicato come un’ex commerciante di gioielli improvvisamente caduta in disgrazia che lei aveva cercato di aiutare anche perché - ha testimoniato in aula la precedente udienza - «temevo potesse togliersi la vita».
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