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«Nessuna foiba alla Rocca: quei morti si conoscono già. Basta insulti ai partigani»

La storica Kersevan: dobbiamo considerare il teatro di guerra dell’epoca. Nel passato già svolte indagini «per criminalizzare la Resistenza»

2 minuti di lettura

Quarantototto persone uccise residenti a San Giovanni al Natisone, trentasei a Manzano, trentacinque a Premariacco. Tutto scritto e riportato fedelmente nei volumi sui caduti durante il secondo conflitto mondiale dell’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione. Tra i 35 di Premariacco ci sono anche i 16 civili uccisi dai partigiani a Rocca Bernarda. Ci sono i nomi della maestra Bice Guerrini, di Cecilia Bombardier, Bruna Macorig e Ida Guion. Dei 119 complessivi caduti in guerra, più della metà 64 sono partigiani.

A rendere nota l’analisi i ricercatori storici Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi e Marco Barone che precisano «una cosa sono i morti di cui si è a conoscenza negli archivi, un altro è parlare della foiba “mobile” di Rosazzo che non esiste». E lo affermano smontando anche l’architrave su cui regge il discusso documento della Farnesina del 30 ottobre 1945 che parla della fossa dove «dovrebbero essere sepolti da 200 a 800 cadaveri». «Nessuno si oppone all’autenticità dell’incartamento – hanno detto in conferenza stampa –, ma si tratta di un “si dice da parte della popolazione” raccolto da un’agente del servizio informazioni militare che aveva il compito di discolpare i crimini di guerra italiani. Quindi nulla di veritiero, se non è suffragato da altre prove. Oltretutto il dossier, nel quale è inserito il documento del Ministero degli Esteri, fu già presentato nel processo “per le foibe” istruito a Roma negli anni ’90. Fu quindi già acquisito dall’Autorità giudiziaria. Ci furono già delle indagini. E se qualche magistrato avesse scoperto qualcosa lo avrebbe già fatto. Ora invece si sta criminalizzando la Resistenza garibaldina, accusando i suoi partigiani di avere commesso chissà quali efferati crimini, sulla sola base di informativa o voci di paese».

Morti sì, fossa no, quindi, secondo gli storici, che ipotizzano sia “alquanto difficile trovare resti umani ancora sepolti, vuoi perchè ci furono già le riesumazioni di cadaveri, vuoi perchè quei territori sono largamente coltivati. E comunque anche si trovassero dei corpi non c’è scritto da nessuna parte che sono stati uccisi dai partigiani».

«Per capire quanto accadde in quel periodo – ha rimarcato Alessandra Kersevan – occorre conoscere bene la storia. Nel ’44 - ’45 in Friuli c’era la guerra con i soldati della Repubblica sociale alle dipendenze dei tedeschi, e i partigiani, a loro volta torturati e uccisi soprattutto nella bassa friulana, costretti a scovare le spie e i collaborazionisti, con l’ordine di ammazzare. Ci furono molte esecuzioni. Poi nel ’45 si cominciarono le riesumazioni ad opera della dirigenza osovana, dei carabinieri e degli anglo americani che avevano il controllo del territorio. È proprio in quel periodo che cominciarono a spuntare alcune informative ad hoc contro i partigiani. Segui, negli anni ’50, un periodo di processi nei confronti dei garibaldini per fatti commessi durante la Resistenza e trasformati in delitti comuni». L’appello finale dei tre storici è quello di «non strumentalizzare la vicenda. Lasciamo che sia la Procura ad indagare».

E a un richiamo alla «cautela» viene fatto anche dal collettivo di scrittori Wu Ming. «L’autenticità di un documento – ricorda – non implica l’autenticità del contenuto. E se un documento viene trovato in un archivio rinomato, non per questo dice il vero, nè il suo contenuto ha alcun “sigillo” di garanzia. Bisogna inserirlo nel contesto delle conoscenze e delle acquisizioni storiografiche dell’argomento. Ancor più cautela richiedono le testimonianze orali basate sui ricordi e sulla frase “io c’ero”, tanto più quando il ricordo dell’evento è in realtà una testimonianza di seconda mano».

Presente all’incontro anche Nadia Fantini figlia di “Sasso”, ritenuto dall’informativa “responsabile del massacro”. «È tutta una porcheria – tuona –. Mio padre fu medaglia d’argento e fu un’idealista. Ma da sempre la mia famiglia è stata perseguitata».

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