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Dalle urla degli alpini alla mamma che allattò il figlio sotto le macerie

Antonino Pascolo, capogruppo Ana, racconta la tragedia: «Estratto vivo, un militare morì d’infarto per la paura»

di Giacomina Pellizzari
2 minuti di lettura

GEMONA. «Tra le macerie della caserma Goi-Pantanali si sentiva solo le urla e le richieste di aiuto di quei ragazzi, avevano solo 20 anni». Il maresciallo in pensione e capogruppo degli alpini di Udine sud, Antonino Pascolo, trova a fatica le parole per ricordare le giovani vite spezzate dalla scossa di terremoto, il 6 maggio 1976, a Gemona.

Il terzo reggimento artiglieria montagna, simbolo di concretezza e affidabilità, perse sul campo 29 uomini. Il terremoto distrusse anche molte famiglie e Pascolo cita un caso per tutti, quello della cugina Ottavia D’Ovidio, morta a 22 anni, a Maniaglia di Gemona. «Si dice - parla a voce bassa in segno di rispetto - che prima di morire abbia allattato il figlio di tre mesi sotto le macerie».

Lo speciale sui quarant'anni del terremoto del Friuli

A 40 anni dalla tragedia, il pensiero di Pascolo torna a quella terribile notte di morte e disperazione. «I militari erano appena rientrati da una manovra, la scossa - continua il capogruppo dell’Ana - li sorprese sotto la doccia». Pascolo non riesce a liberarsi da quel ricordo e ogni 6 maggio si presenta in caserma. Davanti alla lapide recita una preghiera.

All’epoca Pascolo abitava a Udine, in viale Venezia. Il terremoto lo sorprese nella sua casa assieme alla famiglia, capì subito che si trattava di qualcosa di terribile e si recò in caserma: «Se può vada su» mi dissero.

«Lavorammo tutta la notte per liberare quei ragazzi dalle macerie, tanti uscirono vivi, ma per alcuni non ci fu nulla da fare» continua Pascolo ricordando quelle ore molto frenetiche durante le quali nessuno si rendeva conto di quanto grave fossero gli effetti del terremoto.

«Non c’era tempo per pensare, l’unico obiettivo era estrarre vivi i militari». Pascolo ha rimosso molti dettagli, tornare con il pensiero su certe scene gli fa troppo male. Soprattutto se pensa che un medico riuscì a raggiungere un ferito attraverso il tunnel scavato anche con le mani dai soccorritori, ma quello sforzo non servì a nulla perché il giovane ferito se ne andò per sempre alcuni minuti più tardi quando, continua Pascolo, «dopo essere tratto in salvo fu colpito da infarto. Difficile trovare una spiegazione: «Probabilmente non resse alla paura. I genitori si baciarono e se ne andarono».

Venzonese di nascita, Pascolo pensa con affetto a tutti i morti del terremoto. Soprattutto quando parla della cugina Ottavia. «Il marito lo trovarono morto sotto le macerie, mentre lei fu estratta viva. La portarono in ospedale, ma tutto risultò inutile. Il bambino aveva tre mese e, si dice, che sia stato allattato sotto le macerie».

Si tratta di drammi terribili che hanno lasciato segni indelebili nelle famiglie dove ancora oggi si piangono i morti. Ricordare fa male, ma è importante farlo per trasmettere ai giovani una pagina di storia che ha cambiato il Friuli.

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