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Taipana, a Monteaperta il 95% delle case venne demolito

L'unica consolazione fu che in paese non si contarono vittime. Le frazioni furono le zone più colpite. Il ricordo dell'ex sindaco Elio Berra

1 minuto di lettura

TAIPANA. Taipana distrutta. La maggior parte delle case era da demolire. L’unico aspetto che consolava gli abitanti del Comune da dove molti giovani erano andati a cercare fortuna all’estero, era che in quella zona non si contavano i morti.

Nessuno rimase vittima del terremoto. Tra i primi a rendersene conto fu l’ex sindaco, Elio Berra, eletto qualche anno dopo alla guida del Comune. La sera dei 6 maggio Berra era in Libia, lavorava in un mega cantiere assieme ad altri friulani. Tant’è che l’impresa, nei giorni immediatamente successivi al sisma, organizzò un volo per rimpatriare i lavoratori friulani.

«Arrivai in taxi che mi lascio appena fuori Nimis, l’autista non se la sentì di proseguire. Misi la valigia in spalla e arrivai a Taipana a piedi», racconta Berra nel descrivere una situazione di totale distruzione. «Taipana si trova alle pendici della catena del Gran Monte che nasce a Lusevera e finisce a Caporetto».

Berra lo sottolinea per descrivere la distruzione che caratterizzava quelle zone. Anche a Tapiana le frazioni furono le più colpite. Soprattutto a Monteaperta, Cornappo e Montemaggiore, il 95 per cento degli edifici venne demolito. Anche in queste zone il problema più grosso da risolvere era la viabilità: la strada del Cornappo era tutta dissestata. Le fessure impressionanti lungo la carraggiata rendevano impercorribili le strade.

A Monteaperta il campanile era rimasto in piedi anche se la chiesa, con il suo organo e l’antico altare, era gravemente danneggiata. Pure qui la gente trovò riparo nelle tende e cercò di arrangiarsi in condizioni davvero drammatiche. Analoga la situazione a Montemaggiore e Cornappo: le chiese erano distrutte solo a Prossenicco venne recuperata.

Nei primi giorni dell’emergenza, a Taipana fu determinante l’arrivo dei volontari. Ogni borgata era assistita da un reparto della Folgore di Villa Vicentina. I militari preparavano anche i pasti. Poco più avanti, invece, una ventina di giovani volontari giunti da Benevento e da Roma, demoliva le murature e le coperture delle case pericolanti.

In tutte le vallate la gente pretese con forza di ricostruire le case dov’erano e com’erano. Berra si dispiace per la perdita di molti esempi di architettura locale e cita le demolizioni dei muri antichi in pietra piasentina. «Con il senno di poi si poteva fare meglio, ma all’epoca non c’era la cultura del restauro» sostiene ricordando che, negli anni precedenti al sisma, molti muri in pietra erano già stati intonacati.

Le discussioni non mancarono, basti pensare che, come ricorda un altro ex sindaco, Livio Michelizza, il primo piano particolareggiato di Monteaperta venne ritirato. Approvarono la seconda versione e ricostruirono.

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