La storia della famiglia “Gardo” e dei friulani nel libro di Russo
MAJANO. «Un libro di uomini, dove le storie dei singoli si intrecciano a quelle dei paesi distrutti, raccontando il terremoto e la ricostruzione dalla parte di chi ne fu protagonista: il popolo...

MAJANO. «Un libro di uomini, dove le storie dei singoli si intrecciano a quelle dei paesi distrutti, raccontando il terremoto e la ricostruzione dalla parte di chi ne fu protagonista: il popolo friulano». Così, alla trattoria “Da Gardo”, a Tiveriacco di Majano, ha esordito il giornalista Antonio Russo, direttore de “La voce della montagna”, presentando a una sala stracolma la sua nuova opera: “Il Friuli nel terremoto del 1976 - Irene Gardo oltre l’anno 0”.
Numerose le autorità presenti, proprio nel luogo dove qurant’anni fa il sisma si portò via 16 vite, decimando la famiglia di Irene Barachino, titolare dello storico locale ereditato dal padre Gardo Barachino. Dopo i saluti del sindaco di Majano, Raffaella Paladin, del presidente della Comunità Collinare, Gianbattista Turidano, del presidente dell’Associazione dei sindaci dei comuni terremotati, Fabio Di Bernardo, del presidente della Provincia di Udine, Pietro Fontanini e del vicepresidente del Consiglio regionale, Paride Cargnelutti, hanno preso la parola l’ex sindaco di Majano Adriano Piuzzi e i già assessori alla ricostruzione Salvatore Varisco e Roberto Dominici.
Tuttavia, la vera protagonista della serata è stata Irene Barachino. È lei, infatti, il filo conduttore dell’opera di Russo, assurta a simbolo di una terra che ha pianto i suoi morti, ma che si è subito rimboccata le maniche per ripartire, dopo quell’anno “zero” che ha cambiato per sempre la cronologia del Friuli.
Il volume, come l’ex sindaco di Gemona Ivano Benvenuti afferma nella prefazione – curata anche da Fontanini e Piuzzi e dall’allora commissario del Governo Giuseppe Zamberletti – , è «un’opera narrativa e saggistica insieme». In esso, le vicende personali della grande famiglia “Gardo” si incrociano con quelle di numerosi friulani che quella notte di maggio di quarant’anni fa ebbero salva la vita, ma assistettero impotenti alla catastrofe. Come Bepo Coianiz, di Tarcento, che rimase, nonostante l'età avanzata, tutta la notte davanti alla porta della sua stanza, sull’unico brandello di pavimento scampato al crollo dell’abitazione.
Ai racconti e ai documenti fotografici dei giorni del sisma fanno da contraltare quelli dei successivi 20 anni, durante i quali il Friuli scrisse una delle sue più grandi pagine di storia: la ricostruzione. Dalle parole di coloro che la guidarono, diventando i fautori del cosiddetto “modello Friuli”, emerge uno spaccato assai realistico delle ardue sfide che si dovettero affrontare in quel periodo. «Problematiche che furono superate non solo in virtù di un’incredibile coesione a livello politico ma – come ha rilevato Salvatore Varisco, ricordando il pensiero di Antonio Comelli – soprattutto grazie all’enorme determinazione del popolo friulano».
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