UDINE. «Siamo convinti di avere grosso modo raccolto già 50 mila firme...prevedevamo di raccoglierne il doppio, ma adesso col terremoto abbiamo sospeso tutto per rimboccarci le maniche con i soccorsi». Questo dichiaravano i componenti del Comitato per l’università friulana il 16 maggio 1976 sulle pagine de “La Repubblica”.
Erano trascorsi 10 giorni dalla terribile scossa che aveva distrutto il Friuli. Nessuno avrebbe immaginato che i friulani rimasti senza casa, piangendo i loro morti, si dicessero pronti a continuare la battaglia per l’università. A Buja, a Gemona e in altri comuni rasi al suolo, gli incartamenti con le firme erano stati recuperati tra le macerie, ma a convincere il professor Tarcisio Petracco, il promotore del Comitato per l’università friulana, fu un giovane di Casacco: «Perché - chiese a Petracco - non si continua la raccolta delle firme? Per noi l’università è una cosa importante».
E così il 29 maggio vennero stampati i 500 manifesti che tornavano a chiamare la gente alla mobilitazione. I friulani trovarono la forza di lottare per ricostruire il Friuli e il futuro dei loro figli. Sotto le tende, nonostante il dolore e le terribili condizioni in cui trascorsero l’estate, ripresero a firmare la petizione: in pochi mesi l’obiettivo venne raggiunto.
Quando le contarono le firme erano 125 mila, molte di più di quelle richieste a supporto della proposta di legge di iniziativa popolare. E se meno di un anno dopo la lungimiranza del legislatore che nella legge per la ricostruzione del Friuli aggiunse la parola sviluppo fece il resto, l’università di Udine è l’unica in Italia a rappresentare la forza di un popolo che nel dramma ha saputo investire sull’istruzione.Tutti volevano firmare la petizione, basti pensare che l’11 luglio 1976 nel corso dell’ultimo banchetto allestito davanti alla chiesa di San Giuseppe, in viale Venezia, i rappresentanti del Comitato vennero ripresi da alcuni sanitari della vicina Casa di cura perché non avevano organizzato la stessa iniziativa dall’altra parte del viale. Al fianco della gente c’era la Chiesa con alcuni parroci in prima linea.
Tra questi nel volume “La lotta per l’università friulana” (Forum editore) Petracco ricorda pre Checo Placereani e padre David Maria Turoldo. Gli stessi che sostenevano anche il Coordinamento dei comitati delle tendopoli il quale non esitò a fare propria la lotta per l’università. Su quelle macerie i friulani, come ha avuto modo di spiegare monsignor Duilio Corgnali, si riappropriarono del loro essere popolo, riscoprirono la marilenghe che in quel momento rischiava di essere sopraffatta. Petracco spronava la gente ad andare avanti anche per «raccogliere la volontà di chi ci aveva lasciati».
La sera dell’11 luglio, infatti, una volta chiusi i banchetti, i friulani si riunirono in preghiera ad Aquileia con i vescovi delle tre diocesi e ricordarono le vittime del terremoto. Un mese dopo, Petracco depositò il documento alla Camera sintetizzato poi nell’articolo 26 della legge 546 dell’8 agosto 1977.
La norma trovò attuazione il 6 marzo 1978 con decreto del presidente della Repubblica pubblicato in Gazzetta ufficiale il 13 aprile 1978.
L’università degli studi di Udine nacque come istituzione finalizzata a contribuire al progresso civile, sociale e alla nascita economica del Friuli e a divenire organico strumento di sviluppo e di rinnovamento dei filoni originali della cultura, della lingua, delle tradizioni e della storia del Friuli. Motivazioni tutt’ora attuali sulle quali i friulani fanno leva per difendere un bene comune creato nel momento in cui tutto sembrava perduto.
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