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Veti e campanilismi stoppano la riforma

Consorzi industriali: a Udine, Pordenone e Gorizia aggregazioni al rallentatore

2 minuti di lettura

UDINE. Quella che scadrà a febbraio 2017 sarà l’ultima proroga. Entro quella data o il processo di riorganizzazione dei Consorzi industriali sarà compiuto, oppure la Regione agirà d’imperio.

Lo ha detto il vicepresidente Sergio Bolzonello nel corso dell’assemblea di Confindustria Udine, raccogliendo la sollecitazione che il presidente degli industriali, Matteo Tonon, aveva espresso invitando a procedere speditamente sulla via della semplificazione.

Ma esattamente a che punto è la riforma dei Consorzi? Un tempo si era detto “ne resterà soltanto uno”, ma l’ambizione ad una riforma così radicale non aveva ottenuto consenso.

Quindi l’obiettivo successivo era: uno per provincia. Ma anche qui le condizioni non c’erano. Infine da 10 a 6, e anche questo però potrebbe venire mancato. Diciamolo: la voglia di aggregazione ha molti corteggiatori ma pochi amanti.

Nella Venezia Giulia

L’area giuliano-triestina è quella più semplice. C’erano l’Ezit, il Csim di Monfalcone e il Csia di Gorizia, con nuove regole in ossequio al Rilancimpresa, probabilmente ne resteranno tre.

Il vecchio Ezit è in liquidazione ma a prendere il suo posto ci sarà il nuovo Ezit sotto l’egida dell’Autorità portuale.

Operazione intelligente per fare sinergia e iniziare a ragionare in termini di sistema. Gorizia e Monfalcone hanno scarse affinità sulle quali basare un consorzio unico, quindi probabilmente resteranno in vita, rinnovati, entrambi. Anche se pare che tra Gorizia e Trieste qualche ragionamento sia in corso.

In Carnia

Operazione di trasformazione conclusa in Carnia dove è già nato il Cosilt, riferimento non solo per Tolmezzo ma per l’intera area.

In Friuli

A Udine le cose sono già più complesse. L’Aussa Corno è in liquidazione, ma i Comuni dell’area hanno già aderito alla Ziu, la Zona industriale udinese, che sarebbe il secondo grande socio del nuovo Consorzio di sviluppo economico del Friuli.

All’appello manca il terzo, il Cipaf di Osoppo. Di che natura siano gli ostacoli che impediscono di “stringere” sull’accordo finale, non è dato sapere. O forse sono intuibili.

I sindaci parrebbero intenzionati ad andare avanti da soli. «Il progetto per il consorzio unico è pronto - spiega Renzo Marinig, presidente della Ziu - ma a oggi siamo fermi». Che prevalga la difesa del campanile?

Nel Pordenonese

La Regione, nel definire la norma, è stata chiara: o consorzio unico oppure due, uno per l’alta pordenonese e uno per la bassa. Il Nip di Maniago ha già detto che intende essere il consorzio dell’area montana e pedemontana; il Zipr, il Ponte Rosso di San Vito ha detto che lui è il consorzio di riferimento per la pianura pordenonese. Il problema è che all’appello ne manca uno: il Csi di Spilimbergo.

E’ un ente che insiste su un territorio, quello spilimberghese, che non ha più un’intensa presenza industriale pur avendo una zona industriale da gestire. Ma l’ipotesi aggregativa non suscita appeal nè a Maniago nè a San Vito.

Gli scenari

Nel Rilancimpresa sono contenute le direttrici verso cui i consorzi industriali dovrebbero muoversi. I tempi ormai sono prossimi alla scadenza, fissata a febbraio 2017. Questo scorcio di tempo che manca spingerà qualcuno ad accelerare? La sensazione è che no, non accadrà.

E’ evidente che le aggregazioni hanno un aspetto politico, o partitico se si vuole, che può facilitare o complicare le cose, come è accaduto con le Uti. Imporre all’area del gemonese di fondersi con Udine e Bassa friulana è certamente possibile. Ma non sarà semplice.

Così come non lo sarà assumere decisioni congruenti per il Consorzio di Spilimbergo: ha senso che esista oppure va sciolto? E nell’isontino che si fa?

Gli obiettivi

Forse se si tenesse conto degli obiettivi, ovvero fare dei consorzi degli acceleratori dello sviluppo e non delle zavorre, trovare la via potrebbe non essere difficile.

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