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Il caso Fusilâz: dietro la riabilitazione negata i troppi eccidi da nascondere

Oltre ai 4 alpini sono almeno 1.200 i soldati italiani passati per le armi da Cadorna Doveva essere l’anno del giubileo civile, rischiamo l’ennesima occasione persa. Discutibili le motivazioni dello stop: il rischio di cause civili, l’impossibilità di intervenire su sentenze del Re e il coinvolgimento degli studenti

3 minuti di lettura

Doveva essere, il 2016, l’anno del “giubileo civile”. Il momento della riabilitazione morale per i fucilati nella guerra 1915-18 e per gli altri mille 200 (la stima è prudenziale) uccisi dal piombo italiano per dare un salutare esempio, secondo le feroci raccomandazioni di Cadorna.

L’Italia pareva finalmente disposta a fare i conti con il proprio passato e con il suo triste primato delle esecuzioni (il quadruplo della Gran Bretagna entrata in guerra quasi un anno prima, e con due milioni e mezzo di combattenti in più). Dopo manifestazioni di varia natura, prese di posizione popolari e istituzionali, iniziative di legge, sembrava che finalmente quei ragazzi già infamati e passati per le armi il 1° luglio 2016 per essersi opposti a un’azione suicida potessero venir considerati “morti per la Patria”, e consegnati all’abbraccio della Nazione.

Invece qualcosa è accaduto. La legge che doveva preparare questo passo, approvata all’unanimità dalla Camera in soli tre mesi, è stata bloccata in commissione Difesa del Senato.

Quasi un anno e mezzo di stop per arrivare a uno stravolgimento totale: laddove si prevedeva di chiedere perdono ai fucilati, si dice che glielo si può elargire. Si esclude ogni inserimento del nome dei fucilati nell’elenco dei caduti. E soprattutto si cancella il passaggio che prevedeva di trattare queste vicende nelle scuole, al fine di dettare un’epigrafe.

Le prime richieste di fare luce sulla giustizia militare ’15-18 risalgono infatti agli anni ’80, quando Mario Flora, nipote di Silvio Gaetano Ortis, uno degli alpini fucilati a Cercivento, domanda formalmente di riaprire il processo. Le autorità militari rigettano l’istanza, perché, a termini di regolamento, può essere avanzata solo dall’interessato.

La comunità di Cercivento reagisce con civile fermezza: rischiando l’incriminazione per apologia di reato, il sindaco Edimiro Dalla Pietra fa erigere un monumento ai fusilâz, che da allora vengono sempre onorati nelle ricorrenze civili e religiose.

Sul caso escono poi tre libri, e nel 2000 la commissione Giustizia della Camera approva una risoluzione che cita “l’indignazione per l’ingiusta condanna a morte dei giovani alpini Ortis, Matiz, Corradazzi e Massaro”. Uno dei firmatari, il socialista Valdo Spini, presenta anche un testo di legge che finirà insabbiato.

Due anni fa, con la rievocazione dell’inutile strage, la questione si ripropone. La prima voce a levarsi è stata quella dell’Ordinario militare Santo Marcianò. «Riabilitare i militari disertori, come caduti di guerra: giustiziarli fu un atto di violenza ingiustificato, gratuito, da condannare», dice il vescovo capo di tutti i cappellani delle Forze Armate. «Un qualche gesto di riabilitazione potrebbe avere valore dimostrativo e simbolico, proprio come quello che si voleva attribuire alle fucilazioni».

Il consiglio regionale e quello provinciale di Udine, più altri enti minori, . chiedono unanimemente la restituzione dell’onore agli alpini uccisi, la stessa presidente della Regione Debora Serracchiani scrive al Capo dello Stato, cui si rivolge anche un appello pubblicato on line dal Messaggero Veneto (sottoscritto da quasi duemila lettori) e un’altra lettera, partita da Milano e firmata da cento intellettuali e studiosi. Mattarella, con toni di apertura, parla dell’interpello «della nostra coscienza e del nostro senso di umanità da parte di quei mille e più italiani uccisi dai plotoni di esecuzione».

Si muove la Camera: il sardo Gian Piero Scanu predispone una legge firmata da settanta parlamentari Pd e sulla quale vengono auditi Mario Flora e il sindaco di Catanzaro (stanti le decimazioni subite dall’omonima brigata). Vi si prevede l’attivazione d’ufficio del riesame per i reati di assenza dal servizio (ovvero diserzione) e anche in servizi (come lo sbandamento, e i fatti di disobbedienza, ancorché collettiva). Si stabilisce inoltre l’affissione, in un’ala del Vittoriano, di una targa nella quale la Repubblica «rende evidente la sua volontà di chiedere il perdono di questi nostri caduti».

L’epigrafe dovrà essere dettata dagli studenti, attraverso un concorso bandito dal Miur. Il testo, che ha per relatore il friulano Giorgio Zanin, completa l’iter nel tempo record di tre mesi e viene approvato, all’unanimità, nella data altamente simbolica del 24 maggio 2015, centenario dell’ingresso in guerra dell’Italia.

La “riabilitazione alla memoria” sembra cosa fatta. L’indomani il provvedimento passa alla commissione Difesa del Senato. E qui il vento cambia. Il presidente Nicola Latorre (Pd) spiega la delicatezza e la complessità del tema (ragion per la quale si propone come relatore), avvertendo che saranno necessarie varie audizioni e l’affidamento del problema a un comitato ristretto (da lui stesso presieduto).

A fine ottobre viene presentato un testo che azzera completamente la legge della Camera. Latorre (che molti, sottovoce, ritengono interprete dei malumori espressi dagli Stati maggiori) motiva questo intervento radicale con una serie di rilievi: le sentenze (anche se non tutte) «applicavano correttamente la legge vigente (severa ma comunque espressione della forma mentis di un’epoca)».

Poi dice che una riabilitazione non si può fare, perché il presupposto è «una condotta positiva successivamente alla condanna», (che non c’è stata, essendo i condannati estinti), e perché si creerebbe disparità con i fucilati di altri conflitti quali le guerre d’indipendenza e d’Africa, o la II guerra mondiale. Inoltre l’Albo d’oro dei caduti è chiuso da cinquant’anni, e sarebbe problematico riaprirlo.

Ancora, solleva dubbi sul fatto che senatori della Repubblica intervengano su sentenze emesse in nome del re. E mette in guardia sul rischio di incorrere in azioni risarcitorie da parte degli eredi. Infine, in merito alla bocciatura della lapide scritta con il coinvolgimento degli studenti, Latorre spiega che non è il caso di fare «troppo affidamento nelle basi culturali di un adolescente».

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