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Il vero baffone della Moretti era un contadino tirolese

Si chiamava Romed Schreiner, la pubblicità riprodusse la foto di un’artista austriaca. La professionista fu risarcita dall’azienda. La storia sarà raccontata mercoledì alla Ubik

2 minuti di lettura

UDINE. Finalmente una certezza. Ha un nome, un cognome, un luogo di residenza, l’uomo al quale ci si ispirò per ricavare l’immagine del “Baffone” che beve la birra Moretti, divenuta il simbolo della storica fabbrica e l’icona pubblicitaria da pop art (alla Andy Warhol) diffusa a Udine negli anni Cinquanta.

Tutti la conoscevano, tutti ce l’avevano davanti sorseggiando il boccale di birra e i bimbi erano convinti che l’omone collocato sopra lo stabilimento di viale Venezia fosse il loro nonno.

A quel tempo tutti i nonni si assomigliavano un po’, avevano i baffi così e il cappello con le falde. Per cui era facile immedesimarsi e gonfiare il petto andando a spasso stringendo la mano di quel nonno popolare e famoso tra la gente.

Sull’identità del “Baffone” tante se ne sono dette, in un percorso tra le ipotesi più stravaganti, nate pure dai racconti fatti dal titolare dell’azienda, il vulcanico Lao Menazzi Moretti, il quale aveva per esempio narrato che un giorno, andando nella sua villa di Tarcento, si era fermato nella trattoria Boschetti di Tricesimo e lì aveva notato un vecchio mentre beveva la birra.

Gli chiese di poterlo fotografare e l’immagine rimase nel cassetto fino al 1946 quando, volendo dare un nuovo marchio alla fabbrica (che fino ad allora si era affidata alla figura di due moretti, nel senso proprio di ragazzini di colore), si rivolse al pittore Segala che, ispirandosi all’anziano ritratto a Tricesimo, ne ricavò il disegno del famoso logo.

Ma le cose non andarono proprio così, almeno stando a quanto è emerso in una ricerca svolta a Cervignano. Il signore con cappello e grandi baffi si chiamava infatti Romed Schreiner ed era un contadino tirolese.

Venne fotografato in quella posa il 2 aprile del 1939, domenica delle Palme, nel cortile della locanda Stangl, a Thaur in Tirol, presso Innsbruck, da Erika Groth Schmachtenberger (1906-1992), fotografa nota nel mondo tedesco per bravura tecnica e sensibilità artistica nel riprendere oggetti di carattere popolare, fossero ambienti o persone. Gran parte dell’archivio della Groth è oggi conservata nell’università di Augsburg.

Il ritratto fatto al signor Romed si inserisce perfettamente nella ricerca caratteriale e psicologica svolta dall’artista. Oltre a quello divenuto celebre come icona della Moretti, Erika scattò altri primi piani al “modello” tirolese, esposti in mostre allestite anni fa a Los Angeles, mentre un inedito fa vedere il protagonista della nostra storia, stanco e stordito dalle libagioni, che si fa un sonnellino.

Nel 1956, arrivando in Italia, la Groth notò con disappunto una serie di cartelloni pubblicitari della Moretti con sopra il “Baffone”, che subito riconobbe anche se si trattava di un disegno riproducente il soggetto da lei fotografato.

Scrisse allora all’azienda udinese chiedendone i motivi e si aprì un altro capitolo in questa storia sorprendente, che verrà svelata nella sua interezza domani, alle 18, nella libreria Ubik di Udine, in Mercatovecchio, durante un incontro che avrà come protagonisti Antonio Rossetti e Michele Tomaselli, p. residente e componente dell’associazione Cervignano nostra, e l'artista Luciano Lunazzi.

Ma, ci si chiederà, perché tutto spunta fuori adesso a Cervignano? Presto detto: la vicenda è stata oggetto di ricerche e approfondimenti in occasione di una mostra dedicata di recente all’architetto Ennio Puntin Gognan (1926-2014). Nel catalogo, accanto alle opere progettate da Puntin e alle sue splendide fotografie, Rossetti ha inserito un capitolo in cui narra l’amicizia tra la Groth e il professionista friulano, che raccolse un ampio dossier sul “Baffone”.

Ci sono pure le lettere degli anni Cinquanta, comprese quelle spedite dalla Moretti a Erika. Puntin cercò più volte di raccontare questa verità, ma non ebbe ascolto.

Ora forse è arrivato il momento per chiarire tutto, come riconoscimento ai protagonisti e ribadendo che, pur tirolese, il nonno che beve la birra resta uno dei più noti e amati simboli del nostro sentirci friulani.

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