In montagna durante la malattia: appuntato dei Cc assolto in appello
Cividale, ribaltata la condanna a un anno di reclusione che gli era stata inflitta per simulazione d’infermità. Soffriva di dolori causati dalla ferita riportata in un conflitto a fuoco in cui era stato coinvolto anni prima

CIVIDALE DEL FRIULI. Nel 1994 era rimasto ferito in un conflitto a fuoco e questo, pur valendogli un encomio speciale, gli aveva lasciato addosso un dolore cronico, dall’addome alla zona lombare e al nervo sciatico, che, a distanza di molti anni, aveva finito per costringerlo a un lungo periodo di malattia.
Ed è proprio durante una delle proroghe dei giorni di riposo e cure prescrittegli dai medici che l’appuntato scelto Giuseppe Scirocco, 52 anni, residente a San Pietro al Natisone e all’epoca in servizio al Norm del Comando carabinieri di Cividale, si imbattè in montagna in un ordigno bellico inesploso.
Era il 5 maggio 2014 e quel rinvenimento, prontamente segnalato alla polizia, gli costò un’accusa di simulazione d’infermità aggravata e la successiva condanna a un anno di reclusione militare (con concessione dei doppi benefici). La sentenza è stata ribaltata in questi giorni dalla Corte militare di appello di Roma, che ha assolto l’imputato, nel frattempo congedato per ragioni di salute, con la formula «perchè il fatto non sussiste».
A mettere in moto la macchina giudiziaria, dunque, era stato quello che il suo difensore, avvocato Lorenzo Reyes, non ha esitato a definire «un gesto di dovere civico, volto a tutelare l’incolumità della cittadinanza». Scirocco aveva avvertito della presenza della bomba, notata ai margini della strada che conduce alla cima del monte Kolovrat, affinchè ne fosse garantita la rimozione.
Nel processo che ne era seguito davanti al tribunale militare di Verona, però, di quell’episodio era stato evidenziato piuttosto il fatto che «fosse andato a passeggiare in una zona montuosa» nei giorni immediatamente successivi alla presentazione dell’ennesima certificazione medica.
L’istruttoria dibattimentale, con la sfilata di ufficiali e sottufficiali dell’Arma, agenti di polizia e medici in qualità di testi, aveva escluso condotte ingannevoli per il periodo di malattia compreso tra il 23 agosto 2013 e il 2 maggio 2014, lasciando ampi margini di dubbio sui 270 giorni successivi.
E questo, in particolare, perchè pure a fronte del responso di «idoneità al servizio» comunicatagli quel 2 maggio dalla Commissione medica ospedaliera di Padova, il giorno dopo si era recato dal proprio medico ottenendo ulteriori novanta giorni di riposo, cui, con due successive visite, se n’erano aggiunti altri 180.
Secondo l’accusa, l’appuntato «aveva taciuto maliziosamente la delibera della commissione», contestandogli anche «l’insistenza per ottenere ulteriori periodi di riposo», al punto da dire al proprio medico «di non preoccuparsi, in quanto con i suoi superiori se la sarebbe vista lui».
Argomentazioni contestate dalla difesa, che nell’appello aveva ricordato come, in aula, «il medico che aveva redatto i certificati avesse confermato la sussistenza della patologia, che non gli avrebbe consentito comunque di lavorare – aveva insistito –, e di avere agito in piena coscienza e autonomia di giudizio, senza avere subito alcuna pressione». E come lo stesso presidente della commissione avesse parlato di una «cronicità con possibilità di riacutizzazione».
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