Caso Regeni, una questione urgente di democrazia - L'editoriale
Il 25 gennaio del 2016 Giulio è scomparso al Cairo. Il suo corpo è stato ritrovato pochi giorni più tardi, il 3 febbraio, in un fosso poco lontano dalla capitale egiziana. L'Italia chiede la verità sulla morte del ricercatore friulano: è una questione urgente di democrazia
Omar Monestier
UDINE. Da un anno gridiamo ogni giorno, in Friuli, in Italia, nel mondo, che la morte di Giulio deve ottenere giustizia. Non possiamo accettare né quel che è accaduto né il tentativo di spacciare una ricostruzione farlocca, che altera, fino a renderla caricaturale, la verità.
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Giulio è stato venduto, rapito, torturato, ucciso. Il suo omicidio è avvenuto con la complicità di una parte degli apparati dello Stato egiziano, nell’ambito di una guerra per bande che ha usato il corpo di un innocente come messaggio in codice per il governo del Cairo e per il suo principale partner commerciale, l’Italia.
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Dopo aver compreso, a fatica, che questa è la dinamica dell’assassinio siamo in attesa di una ricostruzione ufficiale. Ci sono due obiettivi da perseguire: individuare il mandante politico e catturare gli esecutori materiali. Solo così l’Egitto potrà riprendere a sedersi senza vergogna ai tavoli internazionali e riconquistare il ruolo di potenza locale strategica.
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Ma anche l’Italia deve stare in guardia. Pretendere che a Giulio sia data giustizia è prima di tutto un dovere nei confronti della famiglia e di tutti i cittadini. Costituisce, nel contempo, un banco di prova della vitalità e della salute della nostra comunità. Uno Stato che accettasse di veder morire un suo figlio in tal maniera sarebbe un’entità vuota, senza futuro, pronta alla conquista autoritaria.
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L’attuale presidente del Consiglio si è occupato, da ministro degli Esteri, del caso Regeni. Oggi egli detiene tutte le leve del potere e può osare più di quanto non abbia fatto sino a ora. L’Italia glielo chiede, come testimoniano le decine di manifestazioni previste per l’anniversario della scomparsa e della morte.
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Centinaia di manifesti, bandiere, poster gialli affissi su scuole e case non sono solo una esortazione a risolvere il caso, costituiscono anzitutto un atto d’accusa verso l’Italia (troppo blanda) e l’Egitto (troppo cinico). Sono il dito puntato del popolo verso i governi, i quali sono obbligati a rispondere se non vogliono dissolversi. Perché scompariranno, non c’è dubbio. In Egitto non germinerà più alcun seme politico.
L’Italia reciderà il residuo e già esile rispetto dei cittadini per le istituzioni. Ecco perché Giulio e la Democrazia sono diventati ormai una cosa sola.
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