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Apertura anno giudiziario: «Mafia e riciclaggio inquinano la regione»

L’allarme del presidente della Corte d’Appello, Oliviero Drigani. Nel mirino i subappalti di Fincantieri e il settore della ristorazione

3 minuti di lettura

TRIESTE. Un richiamo netto, ancora una volta, ai tentacoli della criminalità organizzata. A ribadire che il Fvg non è affatto - non più - un’isola felice. Non è un caso che il riferimento alle mafie spunti in ben due relazioni, quella del presidente della Corte d’Appello e quella del Procuratore generale, a dimostrazione che gli intrecci con un certo mondo esistono, eccome, anche in questo angolino d’Italia.

Un esempio su tutti? Il groviglio di appalti e subappalti che sta dietro a Fincantieri. La magistratura l’ha messo nero su bianco.



Rischiava di finire in un mero elenco di reati, vagamente degni di nota, la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario a Trieste. Magari condita, come effettivamente avvenuto, dai problemi legati all’insufficienza di organico e risorse con cui deve fare i conti la macchina giudiziaria.

Invece no, i massimi vertici del tribunale sono tornati a rimarcare l’allarme sul fenomeno: tanto negli appalti quanto nelle opportunità che la regione offre grazie al rilancio turistico, ristorazione compresa. In una parola, riciclaggio.

Riciclaggio di denaro che proviene dal Sud e approda anche in Fvg nell’imprenditoria locale. La corposa relazione del presidente della Corte d’Appello Oliviero Drigani non lascia spazio a dubbi. «Il Fvg - è la sua analisi - pur non potendosi ricomprendere tra le regioni caratterizzate da una forte e consolidata presenza di organizzazioni malavitose esercitanti forme palesi di controllo del territorio, presenta comunque indubbie attrattive per gli interessi delinquenziali anche organizzati e pertanto non può considerarsi immune da fenomeni illeciti collegati alla criminalità».

Parole che prendono forma da un’analisi del tessuto socio-economico del Fvg, da cui emerge che la regione «può costituire il terreno fertile per il radicamento di forme di illegalità organizzata». Anche se, viene puntualizzato, «le caratteristiche culturali e sociali della popolazione, sicuramente resistente alle penetrazioni di stampo mafioso, rappresentano un argine sul quale sia le forze dell’ordine che la magistratura possono far concreto affidamento».

Abbiamo gli anticorpi, ma la Procura di Trieste è «attentissima», precisa la relazione, a riguardo. Le ultime indagini lo confermano. Recentemente gli inquirenti hanno acceso i riflettori sul gruppo di pizzerie “Peperino”, ad esempio, su cui si è aperta un’indagine per l’ipotesi di “trasferimento fraudolento di valori” e riciclaggio. Sullo sfondo un presunto aggancio con la Camorra, tutto da dimostrare.

Ma proprio in questi giorni un operaio dipendente di una ditta d’appalto di Fincantieri, nello stabilimento di Panzano, è stato arrestato per associazione di tipo mafioso con il clan camorristico Gionta di Torre Annunziata, dedito al traffico illecito di stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illecito di armi.

È Antonio Palumbo, 34 anni. L’operazione è avvenuta contestualmente alle misure di custodia cautelare in carcere scattate a Torre Annunziata e a Torre del Greco, emesse dal gip del Tribunale di Napoli, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia.

Otto indagati in tutto, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, associazione finalizzata al traffico illecito di droga, estorsione, detenzione e porto illecito di armi, tutti aggravati dalle finalità mafiose. L’indagine partenopea è sbarcata a Monfalcone, dove Palumbo aveva preso casa e lavoro nel cantiere navale.

La stessa Direzione investigativa antimafia, nei report pubblicati nell’ultimo biennio, ha ravvisato a più riprese i riflessi della criminalità organizzata in Fvg: soprattutto denaro sporco reinvestito in aziende in crisi. Ma anche migliaia di flussi bancari sospetti intercettati in bonifici, versamenti di contante e assegni. Partecipazioni nelle imprese, interessi sugli appalti pubblici, giri di società e prestanome.

Il Friuli Venezia Giulia, ne sono certi gli investigatori, «è area di interesse». Qui gli affiliati trovano anche un tetto e un impiego, come documentato nell’arresto di Monfalcone. Talvolta sono ospitati da uomini di fiducia, lontani dai sanguinosi regolamenti di conti tra cosche siciliane, ’ndrine calabresi, clan camorristici e sodalizi pugliesi.

La “gomorra” friul-giuliana è sempre più materia di inchieste giornalistiche e di studi accademici, oltre che oggetto di investigazione giudiziaria. Recentemente, proprio a scopo preventivo, la Confindustria di Udine e le organizzazioni sindacali hanno sottoscritto un “accordo per la legalità”, condiviso a livello nazionale con il ministero dell’Interno.

Ma è dall’Isontino, in particolare dalla Questura di Gorizia, che viene segnalata la «forte presenza» - scrive il presidente Drigani - di lavoratori spesso provenienti dalla Campania con precedenti penali per reati associativi. Si sono insediati nelle ditte esterne che lavorano in appalto o subappalto per Fincantieri, a Monfalcone, precisa la relazione.

I legami tra questi personaggi e la criminalità organizzata di matrice camorristica è oggetto di indagine della Squadra mobile, sotto la direzione della Dda di Trieste. Fin qui la Corte d’Appello.

È stato pure il Procuratore generale Dario Grohmann, ieri, ad accendere i riflettori. Ha detto che in Friuli Venezia Giulia non si registrano vere e proprie infiltrazioni criminali di stampo associativo mafioso, ma non mancano elementi di «preoccupazione» in ordine alla «concreta possibilità» che questa parte del Nord Est attiri interessi malavitosi, finalizzati «al riciclaggio di proventi delle attività illecite». Grandi appalti, turismo, ristorazione.

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