Donne penalizzate e ai giovani compensi tagliati anche del 60%
Il genere conta ancora molto nei compensi aziendali. Cresce la forbice tra neoassunti e impiegati da anni

UDINE. Nel mondo delle retribuzioni, sottoinsieme del mondo del lavoro, ci sono fattori che non cambiano. Uno fra tutti il “Gender Gap”, o Gap di Genere, definizione che rileva la differenza nelle retribuzioni tra gli uomini e le donne, a vantaggio dei primi, ovviamente.
Un altro Gap è quello generazionale, legato all’età, che ha ovviamente una interpretazione diversa.
Tornano al Gap di Genere, il mercato evidenzia dunque questa disparità tra uomini e donne che vale il 12,7% a favore degli uomini che guadagnano in media oltre 3 mila 400 euro in più delle donne. «Il divario maggiore interessa i profili impiegatizi - spiegano da Job Pricing -, con oltre 3.400 euro in meno percepiti dalle donne e un delta dell’11,7%.
Anche tra gli operai il gap è significativo: la differenza media è infatti di circa 2.900 euro, con uno scostamento del 12,9%. la differenza percentuale dei dirigenti è anch’essa simile a quella di impiegati e operai, ma con un delta monetario significativo: le donne nelle posizioni più alte delle gerarchie aziendali guadagnano in media oltre 11 mila euro in meno dei colleghi uomini. Una differenza contenuta caratterizza invece i quadri, dove lo scostamento è “solo” del 4,4%».
Oltre che nella dimensione salariale, le donne continuano ad essere penalizzate anche nell’avanzamento di carriera. Solo il 23% dei profili manageriali sono occupati da donne (il 15% per i dirigenti, il 26% per i quadri), mentre la differenza si riduce per impiegati e operai (59% di uomini e 41% di donne)
Per quanto i dati siano amari per il genere femminile nel nostro Paese, nel raffronto europeo l’Italia invece primeggia: è al terzo posto tra i 30 Paesi europei per la minore differenza retributiva di genere. La rilevazione è di Eurostat 2014 e vede al primo posto la Romania con un Gap Gender di 4,5%, quindi il Lussemburgo è al secondo posto con 5,4%, l’Italia al terzo con il 6,1%, segue il Belgio con il 6,6%. In questa particolare classifica colpisce il dato della Svezia, al decimo posto con il 13,8%, la Francia al 18° con il 15,5%, la Gran Bretagna addirittura 26^ con il 20,9%, la Germania al 29° con il 22,3%. Al 30° posto l’Estonia con il 28,1%. «In questo caso - sottolineano da Job Pricing - l’indice è influenzato non solo dall’aspetto professionale e retributivo ma anche dalla cultura, dalla religione e dalle caratteristiche distintive del mercato del lavoro presenti in ciascuna realtà».
E veniamo al Generation Gap, ovvero al divario salariale legato all’età. I dati dell’osservatorio di Job Pricing confermano che l’aumento della retribuzione è correlato all’età anagrafica. Nel 2016 il Generation Gap (che è la differenza di retribuzione tra chi sta per iniziare la propria carriera lavorativa e chi la sta per chiudere) si è attestato al 64,3% contro il 67,8% dell’anno precedente. Un risultato «atteso, complici differenti fattori che influenzano la retribuzione, tra cui la normativa contrattuale, che porta ad un costante incremento della retribuzione nel corso della carriera lavorativa per mezzo degli scatti di anzianità.
Poi c’è l’esperienza maturata nel corso della carriera retributiva che può portare il lavoratore progressivamente a ricoprire ruoli sempre più complessi, caratterizzati da maggiori responsabilità e, di fatto, più remunerativi. Il terzo fattore attiene alle aziende che spesso riconoscono ancora oggi un fattore “esperienza” tale per cui a un lavoratore più anziano viene concessa una retribuzione più elevata rispetto ad un lavoratore più giovane».
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