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Danni cerebrali gravi: c’è anche musicoterapia

Al San Giovanni di Dio all’opera un equipe che interviene su 9 pazienti ricoverati La mamma di Marzio Rizzato (in coma da 11 anni): reagisce ascoltando Baglioni

2 minuti di lettura
«Per motivi che ancora non riusciamo a comprendere, anche nei casi di danni cerebrali gravi, le capacità musicali sono spesso le ultime a venir meno. A volte le persone colpite da ictus, Alzheimer o altre patologie continuano a reagire agli stimoli musicali in un modo che può sembrare quasi miracoloso».

Sono parole di Oliver Sacks, celebre scrittore e neurologo statunitense, che vengono alla mente osservando l’evolversi del progetto di musicoterapia avviato nel maggio scorso nel nucleo Gca (Gravi cerebro lesioni acquisite) del San Giovanni di Dio.

I musicoterapeuti Chiara Maria Bieker e Gianluca Micheloni dell’associazione triestina Aulos sono giunti a un terzo dell’opera. Dei 9 pazienti ricoverati, tutti in stati di minima coscienza vegetativa, i primi tre sono stati sottoposti, infatti, a un ciclo personalizzato di stimolazione musicale e sonora articolato in sedute settimanali di un’ora. Fra essi, anche Marzio Rizzato, il goriziano in coma da oltre 11 anni, la cui madre, Nadia Scotti, da sempre si batte per veder riconosciuta un’assistenza migliore a pazienti che si trovano condizioni del figlio. «Quando a Marzio vengono fatte ascoltare canzoni di Claudio Baglioni – dice la signora Nadia – mi accorgo che ha delle reazioni particolari, legate a ricordi e sentimenti».

Tornando a quanto affermava Oliver Sacks, la parola “miracolo” è bandita dal vocabolario dei musicoterapeuti, che si guardano bene dall’alimentare inopportune illusioni. «Tuttavia – spiega Chiara Maria Bieker – i poteri della musica schiudono orizzonti sempre più vasti, per certi versi ancora inesplorati, e anche se parlare di un possibile ripristino dello stato di coscienza appare quantomeno azzardato, è indubbio che la qualità della vita per i pazienti migliora, ci sono dei segnali che fanno capire come queste persone riescono a rilassarsi, pur nelle gravissime condizioni in cui si trovano».

La metodologia è molto accurata. Si parte con un’anamnesi sonoro-musicale per ciascun paziente, avvalendosi delle testimonianze di familiari e amici, in modo da individuare musiche e suoni più graditi ma anche più fastidiosi. E poi, con uno strumentario (dove tutto è registrato, compreso per esempio il din don delle campane di una chiesa, la sirena di un’ambulanza o il suono delle campane tibetane, sicuramente uno dei più rilassanti) si sottopongono i malati alle stimolazioni più adeguate.

Chiara Maria Bieker racconta un aneddoto curioso: «Un paziente, nell’ascoltare, in sequenza, brani di musica classica e dodecafonica, sorrideva, ma un certo punto quando è arrivato il turno di Mozart è diventato improvvisamente serio. Questo a testimonianza di quanto i suoni possano provocare variazioni dell’umore anche in stati di minima coscienza».

Ogni seduta viene video filmata e, poi, è oggetto di studio. Ora cominceranno i cicli di sedute anche per gli altri sei pazienti, e alla fine si stilerà un bilancio dell’esperimento per valutare la possibilità di dare un seguito con la collaborazione dell’equipe medica e infermieristica del nucleo Gca «che ci ha dato da subito – tiene a sottolineare la musicoterapeuta triestina – il massimo aiuto».

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