Scoppia il caso a Udine: quelle perquisizioni criticate dagli avvocati
Visite ordinate dalla Procura negli studi e nelle abitazioni di due professionisti. Documento del consiglio dell’ordine: «Violato il diritto di difesa»
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«Un concreto pregiudizio all’indipendenza del difensore e al principio di rango costituzionale dell’inviolabilità del diritto alla difesa».
Così il consiglio dell’ordine degli avvocati di Udine giudica l’iniziativa con cui la Procura, lo scorso 23 giugno, ha sottoposto a perquisizione gli studi professionali e le abitazioni di due colleghi, nell’ambito di un’inchiesta che li vede indagati per l’ipotesi di reato di concorso in infedele patrocinio. Per avere concordato, cioè, di far fare scena muta in interrogatorio alla donna che uno dei due difende, in un procedimento per presunto favoreggiamento del marito – assistito dall’altro legale –, precedentemente allontanato dalla casa familiare per maltrattamenti su di lei e sui loro figli.
La bocciatura è arrivata al termine dell’ultimo consiglio che, esaminata la vicenda e valutate anche le conclusioni con cui il Tribunale del Riesame, nei giorni scorsi, ha annullato i provvedimenti di perquisizione e sequestro, ritenendo “non ravvisabile” lo stesso fumus del reato, ha deciso non soltanto di esprimere la propria “piena solidarietà” ai colleghi, ma anche di stigmatizzare l’operato della magistratura inquirente.
«Già la lettura dei pochi atti essenziali a disposizione dei consiglieri intervenuti negli studi suscitava non poche perplessità sulla correttezza dei provvedimenti è la legittimità di attività così invasiva», scrive in una nota ufficiale il presidente degli avvocati, Maurizio Conti. Due, in particolare, i rilievi proposti dal Coa. Ad apparire «strano e incongruo, innanzitutto – e come peraltro sottolineato dallo stesso Riesame – era il fatto di poter ravvisare il reato di infedele patrocinio nell’invito o suggerimento impartito alla propria assistita di esercitare un diritto a lei espressamente riconosciuto dal nostro ordinamento». Quello, cioè, di avvalersi della facoltà di non rispondere in un interrogatorio disposto dal pm. «Quantomai singolare, poi – continua Conti – che tale interrogatorio fosse stato disposto in relazione al reato di favoreggiamento che l’indagata avrebbe commesso a vantaggio del marito, rendendo dichiarazioni a lui favorevoli, laddove l’art. 384 del codice penale prevede espressamente il vincolo di coniugio quale causa di non punibilità del reato di favoreggiamento».
È suonato inoltre «incondivisibile», come a sua volta ricordato dal Riesame, l’enfasi data al «concerto tra i due difensori», visto che il codice deontologico forense recita appunto come «l’avvocato, nell’interesse della parte assistita e nel rispetto della legge, collabora con i difensori delle altre parti, anche scambiando informazioni, atti e documenti».
Da qui, l’urgenza del Coa di lanciare un segnale nell’interesse dell’intera categoria, onde evitare «possibili indebite ingerenze del Pubblico Ministero nel rapporto esclusivo esistente tra difensore e difeso». E da qui, quindi, l’idea che nella vicenda «il pm, con il suo agire, abbia preteso di interferire nel rapporto esclusivo tra difensore e difeso e di condizionarne lo svolgimento. Il pm – continua Conti – ha infatti incriminato avvocati per avere suggerito al proprio assistito una certa linea difensiva (anziché altra) perfettamente legittima, ma al pm non gradita, evidentemente perché non suscettibile di condurre all’acquisizione di elementi di prova a sostegno della sua tesi accusatoria».
Una condotta idonea, secondo il Coa, «a condizionare la scelta difensiva da parte di avvocato che non voglia essere incriminato. È il difensore, insieme all’assistito, e non la Pubblica Accusa, la sola parte processuale deputata a valutare e decidere ciò che sia utile o dannoso all’indagato e all’imputato».
L’unico apprezzamento è riservato all’attività del collegio giudicante. «In sede di Riesame – conclude Maurizio Conti – il tribunale ha dimostrato una volta di più la piena adesione al modello di giudice “terzo e imparziale” tracciato dal legislatore». (l.d.f.)
Così il consiglio dell’ordine degli avvocati di Udine giudica l’iniziativa con cui la Procura, lo scorso 23 giugno, ha sottoposto a perquisizione gli studi professionali e le abitazioni di due colleghi, nell’ambito di un’inchiesta che li vede indagati per l’ipotesi di reato di concorso in infedele patrocinio. Per avere concordato, cioè, di far fare scena muta in interrogatorio alla donna che uno dei due difende, in un procedimento per presunto favoreggiamento del marito – assistito dall’altro legale –, precedentemente allontanato dalla casa familiare per maltrattamenti su di lei e sui loro figli.
La bocciatura è arrivata al termine dell’ultimo consiglio che, esaminata la vicenda e valutate anche le conclusioni con cui il Tribunale del Riesame, nei giorni scorsi, ha annullato i provvedimenti di perquisizione e sequestro, ritenendo “non ravvisabile” lo stesso fumus del reato, ha deciso non soltanto di esprimere la propria “piena solidarietà” ai colleghi, ma anche di stigmatizzare l’operato della magistratura inquirente.
«Già la lettura dei pochi atti essenziali a disposizione dei consiglieri intervenuti negli studi suscitava non poche perplessità sulla correttezza dei provvedimenti è la legittimità di attività così invasiva», scrive in una nota ufficiale il presidente degli avvocati, Maurizio Conti. Due, in particolare, i rilievi proposti dal Coa. Ad apparire «strano e incongruo, innanzitutto – e come peraltro sottolineato dallo stesso Riesame – era il fatto di poter ravvisare il reato di infedele patrocinio nell’invito o suggerimento impartito alla propria assistita di esercitare un diritto a lei espressamente riconosciuto dal nostro ordinamento». Quello, cioè, di avvalersi della facoltà di non rispondere in un interrogatorio disposto dal pm. «Quantomai singolare, poi – continua Conti – che tale interrogatorio fosse stato disposto in relazione al reato di favoreggiamento che l’indagata avrebbe commesso a vantaggio del marito, rendendo dichiarazioni a lui favorevoli, laddove l’art. 384 del codice penale prevede espressamente il vincolo di coniugio quale causa di non punibilità del reato di favoreggiamento».
È suonato inoltre «incondivisibile», come a sua volta ricordato dal Riesame, l’enfasi data al «concerto tra i due difensori», visto che il codice deontologico forense recita appunto come «l’avvocato, nell’interesse della parte assistita e nel rispetto della legge, collabora con i difensori delle altre parti, anche scambiando informazioni, atti e documenti».
Da qui, l’urgenza del Coa di lanciare un segnale nell’interesse dell’intera categoria, onde evitare «possibili indebite ingerenze del Pubblico Ministero nel rapporto esclusivo esistente tra difensore e difeso». E da qui, quindi, l’idea che nella vicenda «il pm, con il suo agire, abbia preteso di interferire nel rapporto esclusivo tra difensore e difeso e di condizionarne lo svolgimento. Il pm – continua Conti – ha infatti incriminato avvocati per avere suggerito al proprio assistito una certa linea difensiva (anziché altra) perfettamente legittima, ma al pm non gradita, evidentemente perché non suscettibile di condurre all’acquisizione di elementi di prova a sostegno della sua tesi accusatoria».
Una condotta idonea, secondo il Coa, «a condizionare la scelta difensiva da parte di avvocato che non voglia essere incriminato. È il difensore, insieme all’assistito, e non la Pubblica Accusa, la sola parte processuale deputata a valutare e decidere ciò che sia utile o dannoso all’indagato e all’imputato».
L’unico apprezzamento è riservato all’attività del collegio giudicante. «In sede di Riesame – conclude Maurizio Conti – il tribunale ha dimostrato una volta di più la piena adesione al modello di giudice “terzo e imparziale” tracciato dal legislatore». (l.d.f.)
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