Mazzega in carcere «deperito e prostrato»
L’omicida di Nadia Orlando ha ricevuto ieri la visita dei difensori: «Non mangia, temiamo gesti di autolesionismo»
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Mangia pochissimo. E resta rintanato nella sua cella, che condivide con altri detenuti, anche negli orari in cui il regolamento del carcere gli consentirebbe di beneficiare dell’ora d’aria. Francesco Mazzega «si trova in uno stato di profonda prostrazione, fisica e mentale», spiega l’avvocato Federico Carnelutti, che da qualche giorno affianca nella difesa del trentaseienne di Muzzana la collega Annaleda Galluzzo. Ieri i due legali si sono recati nel penitenziario di via Spalato per incontrare il loro assistito, accusato di aver ucciso la fidanzata Nadia Orlando.
«Ci ha detto pochino, è ancora frastornato, non si capacita dell’accaduto, sebbene sia consapevole della gravità della situazione – racconta l’avvocato Carnelutti –. È in palese stato confusionale: il ritorno in carcere ha amplificato lo stato di prostrazione, così come la consapevolezza di quel che sta vivendo». Mazzega è tornato in cella giovedì, il giorno del suo compleanno, dopo che per qualche giorno era stato ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale Santa Maria della Misericordia. Il ricovero era stato disposto dopo che l’uomo aveva manifestato in carcere intenti autolesionistici.
«Abbiamo chiesto che la sorveglianza sul nostro assistito sia implementata, proprio per evitare gesti inconsulti che sono stati evocati nuovamente in più di una circostanza in questi giorni: ci è stato assicurato che viene tenuto d’occhio con continuità dagli agenti della Polizia penitenziaria», spiega ancora il difensore.
Mazzega non ha vissuto bene il ritorno nella struttura detentiva di via Spalato. Chiuso in sé stesso, nelle scorse ore ha ricevuto la visita dei genitori, incontrati per la prima volta dalla seconda carcerazione. Deperito e «profondamente confuso», il trentaseienne mangia con difficoltà e si rifiuta di uscire nelle ore che i detenuti possono trascorrere fuori dalle proprie celle. Ci sono il timore del confronto con gli altri, la paura di incrociare occhi che giudicano e dita che accusano. Una percezione che, come confermato dal difensore, amplifica le tendenze autolesionistiche dell’omicida, che ha più volte ribadito di volersi punire per il delitto compiuto nei confronti della fidanzata, con la quale aveva cercato un ultimo confronto prima di quella rottura che ormai appariva anche a lui inevitabile.
È ancora presto per delineare i punti cardine che andranno a comporre la strategia processuale della difesa. Gli esiti dell’autopsia effettuata sul corpo di Nadia dall’anatomopatologo Carlo Moreschi saranno noti soltanto all’inizio di settembre. «Attendiamo questo passaggio, poi valuteremo il da farsi: se Mazzega riacquisterà la necessaria lucidità potremmo chiedere alla Procura di essere sentiti», riflette Carnelutti.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
«Ci ha detto pochino, è ancora frastornato, non si capacita dell’accaduto, sebbene sia consapevole della gravità della situazione – racconta l’avvocato Carnelutti –. È in palese stato confusionale: il ritorno in carcere ha amplificato lo stato di prostrazione, così come la consapevolezza di quel che sta vivendo». Mazzega è tornato in cella giovedì, il giorno del suo compleanno, dopo che per qualche giorno era stato ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale Santa Maria della Misericordia. Il ricovero era stato disposto dopo che l’uomo aveva manifestato in carcere intenti autolesionistici.
«Abbiamo chiesto che la sorveglianza sul nostro assistito sia implementata, proprio per evitare gesti inconsulti che sono stati evocati nuovamente in più di una circostanza in questi giorni: ci è stato assicurato che viene tenuto d’occhio con continuità dagli agenti della Polizia penitenziaria», spiega ancora il difensore.
Mazzega non ha vissuto bene il ritorno nella struttura detentiva di via Spalato. Chiuso in sé stesso, nelle scorse ore ha ricevuto la visita dei genitori, incontrati per la prima volta dalla seconda carcerazione. Deperito e «profondamente confuso», il trentaseienne mangia con difficoltà e si rifiuta di uscire nelle ore che i detenuti possono trascorrere fuori dalle proprie celle. Ci sono il timore del confronto con gli altri, la paura di incrociare occhi che giudicano e dita che accusano. Una percezione che, come confermato dal difensore, amplifica le tendenze autolesionistiche dell’omicida, che ha più volte ribadito di volersi punire per il delitto compiuto nei confronti della fidanzata, con la quale aveva cercato un ultimo confronto prima di quella rottura che ormai appariva anche a lui inevitabile.
È ancora presto per delineare i punti cardine che andranno a comporre la strategia processuale della difesa. Gli esiti dell’autopsia effettuata sul corpo di Nadia dall’anatomopatologo Carlo Moreschi saranno noti soltanto all’inizio di settembre. «Attendiamo questo passaggio, poi valuteremo il da farsi: se Mazzega riacquisterà la necessaria lucidità potremmo chiedere alla Procura di essere sentiti», riflette Carnelutti.
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