Caso Regeni, il dossier Usa: "Ordine dall’alto di colpirlo"
Fonti di Washington rivelano: al-Sisi voleva dare una lezione agli stranieri. «Il ricercatore ucciso dagli 007 egiziani. La verità può venire solo dal Cairo»

UDINE. L’ordine di colpire Giulio Regeni «era venuto dall’alto». L’ultima rivelazione sull’omicidio del ricercatore di Fiumicello viene da La Stampa, che riporta le dichiarazioni di una fonte che ha lavorato per l’amministrazione Usa, e che parla per conoscenza diretta dei fatti.
«Giulio Regeni è stato ucciso dai servizi di sicurezza egiziani, o da gruppi affiliati. Questo è un fatto di cui il governo americano è assolutamente sicuro – è la ricostruzione della fonte Usa –, e ne possiede le prove. Vista la stretta collaborazione tra i nostri apparati di intelligence e i vostri, sarei molto sorpreso se non avessimo informato i colleghi italiani di quanto sapevamo».
Dopo la ricostruzione dell’omicidio di Regeni descritta dal New York Times la fonte de La Stampa chiarisce, e conferma, quegli eventi. Ma aggiunge anche che l’ordine di colpire Regeni «era venuto dall’alto». Non pensa che il presidente al-Sisi avesse chiesto il suo omicidio, ma aveva espresso con chiarezza la volontà di dare un esempio agli stranieri.
A quel punto «i gorilla dei servizi di sicurezza hanno preso in mano la situazione, facendola sfuggire a qualunque controllo». Hanno spinto l’esempio oltre la stessa volontà di al-Sisi, torturando e uccidendo il ricercatore friulano. Una volta scoppiato lo scandalo, però, le massime autorità egiziane hanno deciso di gestire la crisi negando tutto, invece di fare chiarezza e punire i colpevoli.
Una seconda fonte del settore d’intelligence si dice invece convinta che Regeni sia stato vittima di una “turf war” fra gli apparati egiziani, cioè una guerra interna tra i vari servizi di sicurezza. L’obiettivo di al-Sisi era quello di una lezione, e l’arresto del ricercatore rientrava in quel obiettivo. Invece il suo omicidio, e poi l’abbandono del cadavere in strada per farlo ritrovare, sono serviti per rendere pubblica la sua tragedia e farne ricadere la colpa sui rivali.
La seconda fonte sostiene di non avere prova diretta che quelle informazioni furono passate al Governo italiano, ma pensa che ciò sia avvenuto. Di sicuro l’allora segretario di Stato Usa, John Kerry, era a conoscenza dei dettagli, e li rinfacciò al collega egiziano Sameh Shoukry, durante un incontro molto teso nell’aprile 2016, a Washington. Il capo della diplomazia americana disse al collega che il caso Regeni era diventato una seria complicazione nei rapporti bilaterali, perché gli Stati Uniti non potevano accettare che i civili di paesi alleati fossero trattati in questa maniera.
Davanti alle obiezioni e le smentite di Shoukry, Kerry aveva risposto che l’intelligence americana aveva le prove inconfutabili della responsabilità dei servizi egiziani nell’uccisione di Giulio. Quindi aveva detto che l’unica soluzione accettabile per gli Usa era l’arresto e la punizione dei colpevoli. «La verità però non è emersa, finora, solo perché il governo del Cairo non ha voluto», dicono le fonti de La Stampa.
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