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Elezioni 2018, il programma di Renzo Tondo: «Azienda sanitaria unica e passiamo a cinque Uti» - L'intervista

Il candidato governatore del centrodestra apre la sua campagna elettorale: «Finita l’epoca di chi ricomincia da zero, ma un errore abolire le Province»

6 minuti di lettura

Elezioni 2018, intervista a Tondo: "Con me riforme importanti, vanificate poi dalla giunta Serracchiani"

Il “vecchio” leone ha voglia di tornare a ruggire. Lo si capisce dal tenore della sua voce e soprattutto dalla volontà di riuscire a scrivere il suo nome all’interno dei libri di storia del Fvg perché nessuno, in epoca recente, è riuscito a conquistare per tre volte nella sua vita lo scranno più alto di piazza Unità.

Renzo Tondo, candidato all’ultimo momento “in extremis” della coalizione di centrodestra, si appresta ad affrontare una corsa che da qui a 40 giorni potrebbe portarlo a prendere in mano, di nuovo, le redini della Regione. Se dovesse riuscirci, però, non ricomincerà da capo azzerando l’intero lavoro fin qui svolto dalla giunta di Debora Serracchiani, ma certamente ha intenzione di mettere mano, anche in maniera pesante, a due delle principali riforme varate dal centrosinistra – enti locali e sanità – così come di riportare le nomine ai vertici delle principali direzioni regionali a uno schema più “made in Fvg” rispetto al disegno attuale.

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Tondo prima di concentrarci sul futuro diamo una rapida occhiata al recente passato. Alla fine Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia hanno scelto lei come candidato. Converrà, però, sul fatto che il balletto cui abbiamo assistito non sia stato tra i più edificanti...

«Concordo. In certi momenti è stato perfino imbarazzante. Sembrava di assistere a un continuo scaricabarile in cui nessuno voleva prendersi le proprie responsabilità e nemmeno chiudere attorno a un nome condiviso. Per questo alla fine ho accettato di candidarsi. Sono consapevole che ci possano essere dei dubbi, così come sia un atto di presunzione, ma davvero ho ritenuto che rimettermi in gioco fosse utile alla coalizione come unica soluzione in grado di fare sintesi tra le diverse esigenze».

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Senta non prova nemmeno un minimo di imbarazzo legato al fatto che, in caso di vittoria il 29 aprile, costringerà gli elettori di Trieste a tornare a votare per l’elezione suppletiva nel collegio in cui è appena stato eletto alla Camera?

«Certo, mi dispiace molto, ma onestamente credo sia più utile in questo momento mettere la mia esperienza a disposizione della Regione rispetto a sedere in un Parlamento traballante e che non so quanto possa realmente incidere nei prossimi mesi. L’errore clamoroso, però, è stato quello di non chiudere la partita del candidato presidente prima delle Politiche del 4 marzo. Era inevitabile, infatti, che andare oltre a quella data avrebbe gettato il Fvg nel calderone delle tensioni nazionali come poi è effettivamente avvenuto».

Guardiamo al futuro. Quali sono le principali “emergenze” da affrontare in caso di successo elettorale?

«Uti e sanità, ma prima permettetemi una considerazione più generale».

Prego...

«Bisogna mettere mano alla macchina amministrativa regionale che attualmente è incartata e poco efficiente».

Per colpa dei dipendenti regionali?

«No, perché si è scelto, deliberatamente, di non valorizzare il personale interno mettendo poca gente in posizioni in grado di incidere davvero. D’altronde basta osservare le nomine della giunta Serracchiani. Dalla sanità all’ambiente passando per Friulia, tutte le direzioni sono state affidate a professionisti extra-regionali. Persone senza dubbio valide e competenti, ma cui manca la visione strategica d’insieme in una realtà complessa e variegata come la nostra. E spesso con risultati non eclatanti come insegna la vicenda di Roberto Finardi arrivato e andatosene, sbattendo la porta, nel giro di poco tempo. Il tutto mentre le menti migliori, come Paolo Bordon, lasciavano il Fvg. Una situazione inaccettabile e sulla quale bisogna porre alla svelta rimedio».

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Passiamo ai temi specifici. Partiamo dalla sanità?

«Va bene. Quando entro in un ospedale non passano cinque minuti senza che qualcuno, e non parlo soltanto dei medici, mi avvicini per dirmi che non funziona nulla. Certo, non tutte le colpe sono della giunta, considerato il trend nazionale di taglio alla spesa sanitaria, ma la riforma doveva essere gestita meglio. È vero che non si possono ascoltare tutti, ma quando si prende una decisione poi questa deve essere spiegata attraverso un coinvolgimento, e un processo di condivisione vero, non con procedure calate dall’alto».

Vuole azzerare tutto?

«No. Non sarebbe sinonimo di buona amministrazione cancellare ancora una volta l’esistente visto che produrrebbe soltanto ulteriore stress nel sistema. Bisognerà mettere mano alla gestione dei Distretti, così come tornare all’idea dell’Azienda unica, con sede a Gorizia, affiancata da un sistema che ruoti attorno a tre grandi ospedali: Udine, Pordenone e Trieste. Certo, non si potrà realizzare dall’oggi al domani. Ci vorrà calma e pazienza, ma la direzione sarà quella evitando, allo stesso tempo, la principale stortura della riforma attuale».

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E quale sarebbe?

«L’integrazione tra ospedalieri e universitari ha creato una competizione, e un insieme di invidie, enorme all’interno del sistema. L’assessore Maria Sandra Telesca ha lavorato con innegabile passione, ma ha spostato eccessivamente la barra a favore degli universitari, senza gestire il malcontento dei medici, fino ad arrivare al punto in cui i rettori possono e devono dire la loro sulla programmazione sanitaria. Poi bisognerà affrontare, seriamente e non come in questi anni, il tema dei doppioni e soprattutto della spesa sanitaria per mantenere elevato lo standard dei servizi offerti».

A proposito di spesa. Visto che questa è legata alle compartecipazioni erariali cosa ne pensa del nuovo accordo firmato con lo Stato e, soprattutto, delle critiche legate a quello che lei siglò con l’allora ministro Giulio Tremonti?

«Mi permetto il rinvio all’opinione dell’ex vicepresidente della giunta di Riccardo Illy cioè Gianfranco Moretton che sostiene come il mio accordo non fosse vantaggioso, ma sicuramente meno scellerato del Padoan-Serracchiani. Ricordo, peraltro, che all’epoca il sottoscritto era costretto a trattare con un Governo tecnico, quello di Mario Monti, con il quale era impossibile stabilire un’interlocuzione di stampo politico, mentre la presidente poteva permettersi il lusso di trovare a Roma un esecutivo amico».

Sergio Cecotti sostiene che lei e Serracchiani siete due facce della stessa medaglia. E non è un giudizio positivo...

«Non ho mai avuto un’interlocuzione profonda con Cecotti. D’altronde ha criticato me, il mio predecessore e pure Serracchiani spiegando che soltanto lui, in appena un anno di presidenza, ha fatto qualcosa mentre gli altri hanno dormito. Di fronte a così tanta presunzione cosa posso rispondere?»

Facciamo un rapido flashback allora: tre cose di cui è orgoglioso di aver realizzato dal 2008 al 2013?

«La riduzione del debito, coerentemente proseguita in questa legislatura, aver completato la Villesse-Gorizia e avviato i lavori per la Terza Corsia, grazie al lavoro di Riccardo Riccardi, oltre al taglio dei consiglieri regionali sfidando l’Aula».

Ci cita, invece, almeno un errore?

«Il più grosso è stato quello di non aver accelerato a metà legislatura, quando cioè ero più forte, la riforma sanitaria subendo lo stop imposto dai territori».

Ha citato Riccardi che, fino a qualche giorno fa, correva per la candidatura. Ha intenzione di coinvolgerlo nel caso di vittoria?

«L’ho chiamato questa mattina (ieri ndr) perché, al di là di qualche ruvidezza, è un politico e un professionista di assoluto valore. Per quanto mi riguarda, e spero di tutto cuore che accetti, farà parte della mia squadra di governo. Lo vorrei in giunta con me e mi auguro che accetti».

La Lega, invece, avrà la vicepresidenza?

«Guardi, io non ho messo in piedi alcuna trattativa al momento dell’accettazione della candidatura. Il “bilancino”, questa volta, verrà utilizzato molto poco, probabilmente esclusivamente per il rispetto delle quote rosa e della rappresentanza territoriale. Ma mi pare logico che il partito più forte della coalizione abbia il diritto di esprimere il vicepresidente della Regione».

Torniamo ai temi. Abbiamo lasciato in sospeso le Uti...

«A distanza di due anni dico che è stato un errore abolire le Province perché questo sistema non funziona. Sarà anche vero che una parte dei sindaci ha strumentalizzato la riforma, ma il caos è talmente elevato, e il malcontento così diffuso, che il sistema va modificato. Penso a uno schema con sole cinque Uti, così come concepito da Roberto Revelant, con un’Unione riservata alla montagna e in grado di toccare tre Province».

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Le cinque Uti sono anche la proposta di Bolzonello vero?

«Sì con la differenza che noi di Autonomia responsabile l’abbiamo proposta prima e, soprattutto, nessuno del centrodestra occupa lo scranno di numero due di Serracchiani che ha governato in tutti questi anni avallando ogni singola scelta».

Sull’immigrazione, invece, come la mettiamo?

«Non sarebbe credibile sostenere di cacciare tutti gli stranieri, così come pensare di accoglierne a migliaia. Lo Stato, in questi anni, ha sottovalutato i problemi della frontiera che da Tarvisio arriva a Gorizia. Peccato che soltanto in Bosnia ci siano almeno 40 mila islamici radicali e da quel confine continui a entrare una marea di delinquenti, soprattutto provenienti dall’Est, che arrivano da noi per compiere crimini. In generale, se parliamo di profughi, mi auguro che venga modificato a breve il regolamento di Dublino, mentre a livello locale sono favorevole all’accoglienza diffusa a patto che non si penalizzino eccessivamente i piccoli centri».

Chiederà al Governo la fiscalità di vantaggio per il Fvg?

«Sì, ma non sarà facile. In realtà credo che sarebbe più realistico pensare di modificare quel sistema a bandi per le imprese che attualmente – escludendo i bandi europei – vale dai 150 ai 180 milioni di euro trasformandolo in un modello di defiscalizzazione preventiva a sportello».

Da qui al 29 aprile teme di più il centrosinistra o il M5s?

«Sergio Bolzonello sia per la rete di relazioni che ha saputo creare sia per il passato da sindaco in cui ha dimostrato di saper amministrare bene».

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Quindi lo slogan “un sindaco in Regione” coniato dal suo competitor è azzeccato?

«No, perché una cosa è tenere in mano le redini di un Municipio, un altro pensare di gestire una realtà complessa come una Regione. I due livelli non sono minimamente sovrapponibili».

Dei grillini, invece, cosa ne pensa?

«Quelli che ho conosciuto io mi sembrano brava gente e volenterosa, ma senza esperienza e molto spesso con ricette, economiche e sociali, all’insegna della demagogia».

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