Il politico, il capo e il leader - L'editoriale
La scelta del nome per il candidato presidente ha mostrato tensioni e alleanze tra gli uomini del centrodestra. "Tondo non è un capo e non è un leader. Per questo Fedriga e Riccardi pensavano di averlo archiviato. L’ex presidente, però, è un Politico (con molti difetti) da cui questi emergenti hanno molto da imparare"

Si è detto che Riccardo Riccardi è un capo, non un leader. Forse è solo un uomo con tratti spigolosi come ce ne sono tanti. Lo si voleva far fuori per questo? Mi pare un po’ poco. Non lo si voleva alla guida dell’amministrazione regionale perché aveva annunciato, errore strategico grossolano, che non avrebbe fatto prigionieri fra quanti non si fossero allineati sulle sue posizioni. Mi pare più millanteria che possibilità reale.
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L’uomo, pur capace, è incline al complottismo, il quale anima sentimenti di vendetta. In politica è, invero, prassi comune sbarazzarsi di ex amici ed ex alleati, ma è meglio parlarne dopo il voto e non prima. Riccardo Riccardi è caduto vittima del pregiudizio sulla sua persona, su qualche parola di troppo, sull’affievolirsi dei suoi contatti romani (la morte di Altero Matteoli, ad esempio). Non sono state le elezioni politiche ad azzopparlo, giacché Berlusconi e Salvini sul Fvg si erano accordati da tempo, e questo lo sapeva anche Massimiliano Fedriga. Solo che Max ha raccontato ai suoi un’altra cosa finché ha potuto e dovuto per rispondere agli impegni assunti pubblicamente fra Trieste, Gorizia, Udine e Pordenone passando per Martignacco.
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Massimiliano Fedriga si è rivelato un leader ma non un capo, a quest’ultimo si chiede di riempire le piazze senza scordarsi, nel contempo, di decidere, di assumere responsabilità, di indicare con chiarezza le scelte. Il tiro al piccione ai candidati è stato volgare e non aveva alcuna finalità se non quella di portare all’esasperazione Forza Italia nel tentativo, che avrebbe avuto dell’incredibile se fosse riuscito, di far passare Stefano Balloch, Manuela Di Centa, Sergio Bini e chissà quanti altri purché non fosse l’odiato Riccardi. Non voglio in alcun modo sostenere che la Lega non avesse il diritto di manifestare contrarietà alla candidatura di Riccardo Riccardi. Non lo volevano? Affari loro. Mi rifiuto di credere, però, che Riccardi e Fedriga non potessero mettersi al tavolo e individuare un nome condiviso. Riccardi calante, Fedriga nascente. Non era la strategia leghista: la Lega puntava a imporre nel campo dell’alleato forzista un uomo scelto all’interno dell’area pubblicamente in antagonismo con Riccardi e la coordinatrice regionale Sandra Savino.
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Queste dinamiche le aveva prefigurate prima di tutti il vecchio Renzo Tondo. Scrivo una cosa che conosco perché fu egli a profetizzarmela più di un anno fa, in uno scambio di opinioni fra cavalli di ritorno. Tondo non è un capo e non è un leader. Per questo Fedriga e Riccardi pensavano di averlo archiviato. L’ex presidente, però, è un Politico (con molti difetti) da cui questi emergenti hanno molto da imparare. Tondo dispone della furbizia di chi ha navigato per anni nei partiti e sa bene che stare un passo indietro può essere più vincente che sbracciarsi nelle prime file. Gioca a dama, sa che due pedine -una sopra l’altra- non si possono impilare all’avvio della partita. Ha lasciato che i due si sbranassero, ha cercato una sponda nazionale con Fitto, è riuscito a farsi eleggere a Trieste e adesso gongola.
Quel che è mancato sin qui, cari lettori, in questa faida fra gruppi di famigli del centrodestra è stato il Friuli. Non ricordo una discussione seria sulle cose da fare, sui temi per governare. Mi è parso che si volesse solo dimenticare in fretta Debora Serracchiani che è stata capo (aspro) e leader (determinato). Se è questo che gli elettori vogliono, si faccia. Vi do appuntamento fra un anno, chiunque esca vincitore, per sentire i ripensamenti di quanti cominceranno a dire che quando c’era Lei...
E’ così che va il Friuli.
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