Fratelli “nemici”, anticiparono la pace
Giovanni Follador racconta la storia in una lettera a Mattarella: «Vincitori e vinti, allora come oggi andare d’accordo si può»

PORDENONE. «Le tragedie italiane costituite da vincitori e vinti siano definitivamente appianate nel rispetto di tutti gli italiani caduti nell’amore della loro fede e delle loro ideologie».
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Giovanni Follador, imprenditore, pilota aviatore e pioniere del volo, scrive al presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione del 73° anniversario della Liberazione. Chiede un gesto di pacificazione definitivo, e non a caso lui che aveva due fratelli maggiori militanti in fronti opposti. «Con il pianto dei nostri genitori, a guerra finita, si riabbracciarono in serenità e in pace».
Angelo Follador, classe 1926, era partigiano della Brigata Osoppo addetto al rifornimento di viveri in montagna. «Con un camion tedesco – ricorda il fratello Giovanni – provvedeva a consegnare i rifornimenti a Pielungo e Forgaria».
Luigi, classe 1927, «l’intellettuale di famiglia», si era arruolato volontario della Marina della Repubblica sociale italiana; rischiò la fucilazione quale ritorsione per la morte di due americani, notizia che poi risultò infondata. Per non rischiare, a ogni modo, emigrò in Canada. Prima di partire, però, volle salutare il fratello, in prima linea sul fronte opposto.
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«I miei fratelli maggiori – ricorda oggi Giovanni Follador, che di quella vicenda ha rinvenuto anche una fotografia – si incontrarono clandestinamente a Venezia». Da qui l’invito al Capo dello Stato: «Mai più guerre civili in Italia, dopo 73 anni sia vera pacificazione».
La memoria «mi riporta a quei tempi, casa bruciata dai tedeschi, bombardamenti alleati su paesi di vecchi e bambini, i fratelli maggiori in contrasto ideale: Angelo, con gli stivali neri, partigiano convinto. Luigi aderisce alla Rsi. Nonostante questo si riabbracciano clandestinamente».
Ecco, dunque, la missiva al Capo dello Stato: «La festa di Liberazione contrasta quale milione di animi italiani, assieme a coloro convinti di un’Italia forte, dignitosa ed autonoma e che si sono trovati tra i vinti. Sappiamo però che tutti assieme hanno ricostruito un’Italia distrutta a tutti i livelli, rendendola il Paese che è oggi.
I superstiti di figli e nipoti difficilmente difficilmente condanneranno i loro padri o i loro nonni per la scelta allora compiuta. Le tragedie italiane costituite da vincitori e vinti siano definitivamente appianate nel rispetto di tutti gli italiani caduti nell’amore della loro fede e delle loro ideologie».
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