Sei mesi senza i social: «No ai divieti, serve l’educazione digitale»
Dal Maso disapprova il blocco strumentale: si aggira. «Meglio una campagna di sensibilizzazione»

UDINE. Educazione digitale e civica. Non ha dubbi Davide Dal Maso, vicentino, classe ’95, consulente di social media per aziende, professore di terza superiore e fondatore del Movimento Etico Digitale. Commenta così lo stop all’uso di Facebook imposto dall’Ufficio esecuzioni penali esterne al 44enne, imputato a Pordenone.
Professore, condivide le prescrizioni imposte dall’Uepe?
«Da un lato ritengo che i lavori socialmente utili, magari rivolti a persone in difficoltà e di etnie diverse, possano aiutare quella persona a prendere consapevolezza di ciò che ha fatto. Anche se io gli avrei assegnato più ore di messa in prova, appunto in mezzo a persone in difficoltà, italiane e straniere. Perché per chi diffonde l’odio in rete è bene lavori a contatto con quelle persone e capisca le loro difficoltà. Così magari impara la lezione».
Ritene che imparerà la lezione?
«Penso che l’impatto sarà utile se quelle ore saranno sfruttate in mezzo a persone come quelle che ha insultato, perché ciò che ha fatto è probabilmente un retaggio culturale per non aver mai vissuto in mezzo a soggetti in difficoltà».
È favorevole allo stop imposto all’uso di Fb?
«No. Ritengo sia un modo di reazione che non funziona tanto perché si tratta di un blocco strumentale e, in generale, un blocco strumentale soprattutto nel web, può essere aggirato. L’utente, cioè, può crearsi un altro profilo, con un nome falso – anche se si tratta di un reato – e potrà quindi continuare la sua attività, magari anche più arrabbiato di prima. Credo poco in questo blocco. Penso possa tamponare una ferita, essere d’esempio».
E allora come si dovrebbe intervenire?
«Serve l’educazione digitale e civica al web. Bisogna insegnare a cosa stare attenti. Ad esempio chi condivide contenuti e ha profili aperti può vedersi danneggiata l’immagine da un altro utente, che magari entra nel suo profilo, vede la condivisione e non è d’accordo. Sono dell’opinione che bisognerebbe educare, parlare alle grandi masse, fare un’opera di sensibilizzazione culturale su come usare il web e quanto possa essere pericoloso e perché. Una campagna seria, come quella organizzata anni fa per l’uso del casco, che fu martellante sui media e con immagini forti. Ha funzionato perché si parlava del problema e della soluzione. Oggi invece si tende a sottovalutare l’importanza dell’educazione digitale».
Si supererà l’odio in rete?
«Sono ottimista. Su Instagram, mezzo utilizzato dai più giovani, c’è meno odio, i ragazzi non insultano, non attaccano e chi lo fa ha più di 40 anni, raramente giovane. E anche su Fb chi insulta è adulto. I giovani sono cresciuti con i social network e quindi hanno una migliore educazione al loro utilizzo, che poi è l’educazione minima del rispetto dell’altro. Le nuove generazioni sono meno aggressive sul web e quindi guardando al futuro sono ottimista. Soprattutto su punteremo sull’educazione digitale».
Lei lo fa?
«È uno dei punti nel mio programma scolastico, far capire come funzionano, quali sono rischi e opportunità dei social. E noto che tra l’inizio e la fine dell’anno c’è un cambiamento, i ragazzi capiscono l’utilità del web e non lo usano tanto per, ma in modo intelligente».
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