Scalpello e mani d’oro: ecco chi è il mago della pietra piasentina
Gianni Munini ha 68 anni e vive ad Artegna. È in pensione, ma lavora sempre. Suo il primo intervento di ricostruzione del castello di Gemona
Monika Pascolo
ARTEGNA. Chi lo conosce bene dice che non può vivere senza un blocco di pietra davanti e tra le mani uno scalpello e una mazzuola. E lui conferma.
Da quando Gianni Munini, 68enne di Artegna, è in pensione, si fatica a trovarlo lontano da quell’angolo dietro casa dove si è ricavato il suo personale laboratorio. Poche cose. Essenziali. Un tavolo, una riga di scalpelli di varie dimensioni e la sua inseparabile smerigliatrice.
In quel regno – spesso nelle giornate di sole spostandosi all’aperto dove lo sguardo arriva fino alla cima del monte Cuarnan –, Gianni crea da mattina a sera.
Sotto le sue sicure mani quei blocchi squadrati di pietra – rigorosamente piasentina di Torreano – diventano qualsiasi cosa detti la fantasia. Da fontane a sculture di ogni tipo, da crocifissi alle riproduzione di alcune opere di Modigliani, da mortai con pestelli a portafoto di ogni dimensione.
E poi orologi, vasi dalle forme più fantasiose, la serie di segni zodiacali, animali, soprammobili di ogni foggia, statue, portabottiglie, portaombrelli.
Lo scantinato della sua abitazione non riesce più contenere le centinaia di creazioni. Il giardino – neanche a dirlo, il muro di cinta in sasso porta la sua inconfondibile firma – sembra un’esposizione a cielo aperto.
Una passione, quella per la pietra, esplosa in maniera incontenibile quasi per caso. Quando il dirimpettaio di casa – il pittore e incisore di fama internazionale Mario Micossi – gli ha commissionato la realizzazione di un muro, in fondo alla proprietà.
Gianni al tempo faceva infatti il muratore e piastrellista. Aveva cominciato a lavorare già a 14 anni, «sotto padrone a imparare il mestiere di marmista, perché di studiare proprio non ne volevo sapere».
A diciassette anni, da solo, è emigrato in Francia «a lavorare come muratore perché là si guadagnava meglio». Per il fatto di essere stato il più giovane arteniese ad andare a cercare fortuna altrove, è stato pure menzionato in una pubblicazione edita dal Comune.
Rientrato in Friuli a vent’anni per la visita di leva, dopo il periodo militare ha deciso di stabilirsi definitivamente nella sua terra. Da allora, la piccola ditta artigianale fondata col cognato e col fratello Attilio (con il quale ha ricostruito l’abitazione distrutta dal terremoto del 1976), si è occupata di lavori edili e pavimentazioni un po’ in tutta la regione.
Dall’ospedale di Gemona a Trieste, dove per parecchi anni si è dedicata alle rifiniture di una miriade di palazzine. Poi “l’incontro” casuale di Gianni con la pietra grazie all’artista vicino di casa.
Era la fine degli anni Ottanta. «Da allora non ho più smesso». Specializzandosi anche nella realizzazione dei tradizionali muri a secco. Porta la firma dei fratelli Munini il primo intervento di ricostruzione del Castello di Gemona, in particolare della «torate» (la torre di ponente) e delle prigioni.
Anche l’esterno della galleria della cittadina pedemontana è stata rivestita in pietra da Gianni e Attilio. Che tanto hanno lavorato soprattutto per aziende vitivinicole del Collio a tirar su mura di cinta e pilastri.
Oltre trent’anni a maneggiare il pesante materiale. Gianni, di tanto in tanto, ha trovato anche il tempo di dilettarsi nella realizzazione di qualche scultura da regalare agli amici.
Poi la pensione. «Coincisa con l’impossibilità di fermarsi», commenta sorridendo la moglie Eleonora che ha appena commissionato allo scultore di casa un gufo tutto per sé. «Ho iniziato per hobby ed è subito diventata una necessità – conferma Gianni –. Non posso stare fermo. Persino di notte, se capita di non riuscire a dormire, penso a quello che potrei creare il giorno dopo».
Per Natale dalla pietra ha ricavato una decina di simpatici gufi portafortuna per tutta la famiglia: figlie, consuoceri, cugini.
Chi sa della sua passione gli chiede pezzi personalizzati. È riuscito a riprodurre un’auto sportiva come sfondo di un orologio per un regalo della fidanzata al proprio ragazzo, patito di motori. Anche le sue due figlie, Alessia e Ania, ricorrono a lui quando c’è il compleanno di qualche amica. «Al mattino mi chiedono cosa vorrebbero. Alla sera è pronto!».
Nel tempo si è perfezionato pure nei ritratti. Una sfida. «Questo materiale non ammette sbagli. Non è come la creta che in caso di errore ti permette di rimediare».
Gianni non vuol essere chiamato artista. «Non lo sono. Lavoro la pietra perché mi dà soddisfazione e perché mi viene del tutto naturale». Persino la smerigliatrice – che utilizza per incidere disegni e lucidare i pezzi –, la maneggia senza problemi.
«È come se avessi in mano una penna». A volte, spiega, la difficoltà è quella di rispettare le proporzioni degli oggetti o dei corpi che riproduce. «Non ho studi alle spalle – si rammarica –, ma mi aiuta molto l’osservazione attenta di quello che voglio ricavare dal blocco di pietra».
Dal momento in cui si è cimentato in questo hobby è stato chiamato più volte ad esporre le proprie sculture (che firma con le iniziali in qualche angolino nascosto) alla manifestazione «Gemona, formaggio… e dintorni», alla Mostra mercato di San Valentino ad Artegna e alla Festa dell’Agricoltura di Resiutta.
Tra centinaia di pezzi, nel suo garage spiccano anche dei telefoni. Il modello popolare in voga negli anni Settanta. La riproduzione è talmente ben fatta che solo alzando la pesante cornetta ci si rende conto che non è plastica. Una delle ultime richieste è stata un pesta sale che un migrante ha voluto portare con sé in Svizzera. «L’ho fatto di ridotte dimensioni, visto che viaggiava in aereo», sorride.
A un albergatore di Sestriere piace talmente la manualità di Gianni che una volta in Friuli non può fare a meno di passare per Artegna; tra gli ultimi pezzi che ha voluto ci sono delle rappresentazioni del Castello di Gemona e il tipico cappello di alpino, con tanto di piuma, che il “mago” della piasentina produce in gran quantità.
Uno lo ha donato anche agli amici del Gruppo delle penne nere del suo paese. Nell’occasione era presente pure il compaesano scultore Giovanni Patat, in arte Giovanni d’Artegna.
«Rimirandolo ha osservato che l’aquila, incisa come sfondo sul quadro, sembrava arrabbiata. Però mi ha anche consigliato di insistere sulla strada intrapresa, assicurandomi che col più fare prima o poi si arriva alla perfezione. E detto da lui, che con la pietra è un fenomeno e un vero maestro, è qualcosa che mi ha reso parecchio orgoglioso». —
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