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Caso Regeni: il ruolo della politica e il cinismo di Luttwak

Giulio Regeni era un cittadino italiano, studiava, viaggiava, scriveva, era in Egitto per ragioni di studio e di ricerca, è stato catturato, torturato e ucciso da apparati o servizi dello Stato, senza che né allora né dopo gli venissero mosse accuse di cospirazione o di sedizione

Ferdinando Camon
2 minuti di lettura

La tragedia di Giulio Regeni ha ormai tre anni, e più passa il tempo più ci appare intollerabile. L’Italia vuole la verità, e dunque la giustizia, e questo a noi pare nobile, umano, civile. A noi, ma non a tutti. C’è un consigliere militare e politico degli Stati Uniti che ci condanna e ci disprezza per questo.

È Edward Luttwak. Anche alle nostre tv, in casa nostra, Luttwak dichiara a voce alta che su Regeni noi italiani sbagliamo, dovremmo mettercela via, non insistere più, non è interesse dell’Italia e dell’Egitto e del mondo che si sappia la verità, ormai la verità s’intuisce ed è chiaro che colpisce il governo e gli apparati egiziani, perché lì si annidano i colpevoli, ma il governo e il presidente egiziano Al Sisi sono dei sicuri baluardi contro il terrorismo, è interesse dell’Italia e dell’Occidente rafforzare questi baluardi e non metterli in crisi. Per mantenere e rafforzare i buoni rapporti con Al Sisi dobbiamo rinunciare alla verità e alla giustizia su Regeni? Sì, risponde Luttwak, questo è un piccolo prezzo per un grande bene.

Luttwak è un grande politico. E non c’è un grande politico che non sia un grande cinico. Il governo, la magistratura, l’opinione pubblica italiana battono la strada opposta: Giulio Regeni era un cittadino italiano, studiava, viaggiava, scriveva, era in Egitto per ragioni di studio e di ricerca, è stato catturato, torturato e ucciso da apparati o servizi dello Stato, senza che né allora né dopo gli venissero mosse accuse di cospirazione o di sedizione.

La sua uccisione è stata coperta dall’uccisione di un gruppetto di poveri diavoli spacciati come suoi killer, per buttare un’offa in bocca all’opinione pubblica, e chiudere così la vicenda. In realtà quelle sono aggravanti. Chi ha ucciso Regeni senza motivo ha inventato dei finti uccisori per ucciderli senza motivo.
Il regime che è stato il killer di Regeni è subito diventato un serial killer, uccidendo altri innocenti. Il regime si compatta su se stesso, e punta a uscire intatto dalla crisi, non indagando, non processando, non permettendo che noi interroghiamo o processiamo.

Il regime vuol chiudere l’affare così com’è: un morto torturato italiano, colpevole di niente, alcuni morti ammazzati egiziani, colpevoli di essere dei poveracci, adatti a fare da strame alla politica. Tutto questo si può accettare, dice Luttwak, perché è nostro interesse che quel regime resti forte. Il governo, la magistratura, l’opinione pubblica italiana pensano invece che scoprire i colpevoli e far giustizia si può. Seguendo coloro che spiavano Regeni negli ultimi giorni della sua vita, gli inquirenti italiani arrivano a indicare che i colpevoli della cattura e della morte di Giulio sono da ricercare fra quattro ufficiali superiori (un generale, due colonnelli e un maggiore) e un agente. Ma l’Egitto non li interroga e non vuol farli interrogare. Cioè: li protegge.

È chiaro che siamo al dunque. Gli assassini sono quelli o sono fra quelli. Il regime che li protegge, dobbiamo fare in modo che non abbia più interesse a proteggerli. La strada per ottenere questo risultato è politica. Magistratura, polizia, informazione han fatto finora quel che han potuto, ed è molto.

L’ultimo passo deve farlo la politica. Se non lo fa, vuol dire che sotto sotto dà ragione a Luttwak. Sarebbe una conclusione sgradevole, ma non sorprendente. Siamo pur sempre il paese di Machiavelli.

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