UDINE. Quasi per straordinaria coincidenza, nell’arco di pochi giorni, s’interfacciano due eventi densi di significato, ancor di maggiore valore se letti insieme. Riguardano entrambi la chiesa friulana e non sono certo messaggi confortanti. Il più recente, quello che ha creato maggior scalpore, è l’annuncio che i frati francescani, alla fine di ottobre lasceranno il santuario di Barbana, l’altro si riferisce alla presentazione a Venzone del volumetto “Un timp di passion per la nestre Glesie”, uno scritto del 2002 del compianto pre Toni Bellina e pubblicato oggi nella serie che comprende la sua Opera Omnia.
Il titolo suona come una sorta di commento profetico al destino del santuario gradese, determinato dal numero ridotto e dall’età avanzata dei suoi custodi. Un fenomeno che non tocca solo l’isola o l’ordine francescano, ma che si estende, statistiche alla mano, alla realtà di tutte le nostre parrocchie, con i, sempre meno, sacerdoti costretti a farsi in quattro per poter almeno, assicurare le messe domenicali.
Non solo per loro. La storia del convento è una testimonianza importante nelle vicende del Patriarcato, con i progetti di scissione perpetrati da Venezia nei confronti di Aquileia, ma lo è ancor di più per tantissimi friulani. Certo, si sono sempre svolti i pellegrinaggi al Lussari, a Castelmonte. Qui, anche per le minori distanze, si sono concentrate le manifestazioni popolari di devozione mariana, mentre tra le montagne del Tarvisiano ha assunto particolare rilevanza l’aspetto dell’incontro con le comunità confinanti austriache e slovene.
Per i nostri vecchi, il pellegrinaggio a Barbana era la prima visione del mare, quel senso di novità e curiosità così ben descritto da Gina Marpillero nella sua narrazione del viaggio in corriera dalla Carnia a Grado. E prima ancora in bicicletta e poi sulle poche barche che traghettavano verso l’isola, attraversando la laguna, su quelle acque su cui, durante la bassa marea, sembrava fosse possibile camminare, come Gesù sul lago di Tiberiade. Un luogo di pace dove rifugiarsi, in un ritiro spirituale scoperto da tanti anche in tempi moderni, all’ombra di cipressi, magnolie, olmi e pini marittimi.
Adesso la gestione passerà all’Arcidiocesi di Gorizia. Come e con quali forze è un grosso interrogativo. Lo stesso, in termini più generali, che si poneva pre Bellina diciassette anni fa, quando affrontò il problema di quello che potremmo definire “il calo demografico” del clero.
Eravamo all’inizio del nuovo secolo e l’allarme era già scattato: l’arcivescovo Brollo presenta i nuovi piani pastorali, su cui pre Toni sospendeva il giudizio, ma ne ravvisava le criticità: «Fondati più sulla carta geografica che sulla realtà, con l’obiettivo impossibile – scrive Roberto Pensa nella prefazione – di riformare la Chiesa clericale sul territorio di fronte al drastico calo delle forze sacerdotali come una coperta troppo piccola che si cerca invano di stiracchiare da ogni lato». La proposta però di un referente laico nelle località prive di sacerdote residente, contenuta in quel progetto di riforma, venne archiviata dall’attuale presule, mons. Andrea Bruno Mazzocato.
L’attenzione di Bellina, partendo dalla propria esperienza di seminario e di vita, è però maggiormente concentrata sulla formazione del nuovo clero che non può più fondarsi su una forma di organizzazione sociale costruita dopo il concilio di Trento e che per secoli si è imposta nella Chiesa. Necessaria una riflessione su un nuovo modello di sacerdozio, sul celibato dei preti, sui temi della sessualità, essenzialmente sul ruolo umano del prete e sul suo rapporto con la comunità in cui vive: «Cemut jessi bogns predis restant bogns oms».
L’impegno perché i santuari, le basiliche, le chiese e i conventi non restino solo pietre, magari come sfondo per un selfie, testimonianze artistiche ad uso turistico, ma luoghi d’incontro e di riflessione, tocca le comunità nel loro insieme.
Barbana, Castelmonte, il Lussari sono un bene che non possiamo perdere, senza venderci l’anima.
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